Il giornalista Massimo Calvi ha pubblicato il 25 novembre, sul quotidiano Avvenire, un’intervista allo psicoanalista e saggista Massimo Recalcati. Il tema della conversazione tra i due è quella dei femminicidi, e l’intervistato, sin dalle prime battute, riconosce nel patriarcato e nel maschilismo le radici ideologiche che portano all’accadimento di tragedie come quella che ha coinvolto la povera Giulia Cecchettin.
Tuttavia, nelle sue risposte, Recalcati dimostra ampiamente di discostarsi da certa retorica di stampo falsamente femminista e lo fa essenzialmente affermando due verità a nostro avviso incontrovertibili: l’educazione all’affettività parte all’interno della famiglia, fulcro della società, la quale deve essere il luogo in cui i genitori sono chiamati a preoccuparsi di testimoniare l’amore e il rispetto affinché i figli possano crescere con la consapevolezza dell’importanza di vivere in maniera sana i due sentimenti e ripudino ogni forma di violenza; la seconda, e forse per certi versi la più importante, è che bisogna distinguere la rappresentazione patriarcale della società dal principio paterno.
Il padre che utilizza nella maniera sbagliata il suo potere, afferma giustamente Recalcati, finisce per produrre violenza anziché, come dovrebbe, limitarla. Il principio paterno, sottolinea ancora il saggista, rappresenta la base non solo del Cristianesimo ma anche della nostra società, che da esso è laicamente permeata e introduce viceversa una legge che riesce a contenere la violenza, in quanto rammenta all’essere umano i propri limiti.
Con queste parole di estremo buon senso, viene esplicitata l’importanza di proteggere e mantenere un assetto sociale che garantisca a elementi differenti di esprimersi nel rispetto reciproco, partendo dall’istituto familiare come cellula primaria. Questa situazione è ottenibile soltanto con una reale volontà di cooperazione, che potrà ottenere la fine di episodi incresciosi e spregevoli come quelli che stiamo purtroppo commentando in questi giorni. Crimini che non diminuiranno al puntare il dito verso un intero genere, o peggio cercando di trasformarlo in altro, ma che invece, forse, trovano una delle loro cause nel decadimento sociale ed etico che da troppi decenni va avanti, indisturbato e anzi, a volte incoraggiato, da chi si erge a paladino del bene investendosi di una carica che nessuno, men che meno noi, gli ha mai conferito.
Estratto dall’intervista a Massimo Recalcati del 25 novembre 2023
Femminicidi. Recalcati: «Narcisismo e depressione sulle braci del patriarcato»[…]
D; La dissoluzione della figura paterna nella società ipermoderna, tema che le appartiene, ha a che vedere con determinate forme di violenza?
R: Non c’è dubbio. Bisogna infatti distinguere la rappresentazione patriarcale della paternità dal principio paterno. È questo un tema che attraversa anche la predicazione di Gesù. Il padre che detiene il potere facendone un uso sadico genera violenza anziché limitarla. È la figura terribile del padre-padrone da cui giustamente il Dio delle Sacre scritture si differenzia. Si può leggere in questo modo la terribile stagione del totalitarismo nel Novecento: il padre-Duce, il padre-Fuhrer rassicura le folle negando la libertà. Diversamente il principio paterno introduce una Legge che sa contenere la violenza nella misura in cui ricorda che l’essere umano non può essere tutto. È questa, infatti, l’origine prima della violenza umana: la spinta a voler essere tutto. È quello che accade nel nostro tempo. Il principio paterno corregge questa spinta ricordando che l’essere umano è sempre non-tutto.
D: L’idea stessa di maschile e femminile oggi sembrano in crisi. L’amore ha ancora bisogno di questa differenza?
R: L’amore, diceva Lacan, è sempre eterosessuale. Con l’aggiunta però che dobbiamo imparare a non ridurre l’eterosessualità alla differenza anatomica tra i sessi. L’amore è eterosessuale in quanto è sempre amore per l’eteros, per l’altro, per la sua differenza… L’esistenza di questo amore non è affatto garantito dalla differenza anatomica, come gli psicoanalisti sanno bene.
D: Una delle paure che si sta facendo largo tra le ragazze, e tra i genitori, di fronte a un femminicidio commesso da “un bravo ragazzo”, è che tutti i maschi siano potenzialmente pericolosi. Può veramente accadere a chiunque?
R: I genitori più che osservare poliziescamente i loro figli dovrebbero preoccuparsi di testimoniare l’amore in famiglia. Se un figlio cresce in una famiglia dove l’affettività non fa paura, dove la cura e l’attenzione per l’altro sono degli esercizi quotidiani, dove il rispetto nei confronti del femminile si realizza nei fatti e non a parole, dove non c’è ricorso alla violenza o all’insulto, non diventerà un uomo che odia le donne.