Pubblichiamo oggi la lettera della mamma di un bimbo di due anni, la quale avendo espresso in maniera civile delle riserve sulla lettura all’asilo di alcune fiabe inerenti la delicata sfera dell’educazione all’affettività e alla sessualità, è stata apostrofata come omofoba e invitata a cambiare scuola (vedi comunicato stampa dei giorni scorsi).
Il Comitato Articolo 26 ha deciso di rendere pubblico questo episodio, perché il comportamento del personale scolastico si oppone al principio di continuità educativa scuola-famiglia che sosteniamo (e ci sentiamo di dire che chiunque sottoscriverebbe) e perché vogliamo stigmatizzare il comportamento di chi pensa di poter intimorire con etichette pretestuose o addirittura facendo sentire in colpa, un genitore che si limiti peraltro con modi garbati, ad informarsi (e a formarsi) sul tema dell’educazione dei propri figli.
Lo dicevamo anche in un precedente intervento: forse sono alle nostre spalle i tempi in cui i genitori potevano permettersi di lasciare sparse in giro deleghe in bianco per chi li possa o li debba sostituire. Noi riteniamo invece che per i genitori sia giunto il momento di essere preparati e di conoscere quale è il tenore delle iniziative che in questo periodo storico, dall’Europa (vedi standard OMS) fino a Roma: si tratta di progetti legati alle biblioteche nell’ambito di iniziative di singoli funzionari o educatrici (come ci risulterebbe nel caso del “Cecchina”), in altri casi sono corsi proposti da singole associazioni, in altri casi ancora si parte da sovvenzioni ed appoggi istituzionali.
Roma Capitale ad esempio ha affidato a Scosse, una associazione che si occupa di comunicazione, i corsi per educatrici di nido/infanzia. Ebbene, noi leggiamo che negli atti conclusivi del convegno nazionale “Educare alle differenze” organizzato da Scosse nel settembre scorso si propone di introdurre nella fascia 0-6 anni “la conoscenza e condivisione del transgenderismo, dell’intersessualismo e del transessualismo finora tabù per tutto ciò che concerne il rapporto con questa fascia di età e la riflessione che la riguarda” e “attuare le linee guida dell’OMS che evidenziano la necessità di introdurre l’educazione sessuale, in relazione alle differenze di genere, secondo un approccio globale, da prima dei 4 anni“. Scosse fa intendere che la nostra sia un’opera di diffamazione nei loro confronti; noi vorremmo avere il parere dei genitori: è nostro diritto capire se si sta facendo una sperimentazione sulla pelle dei nostri piccoli? Domanda: si sta facendo diffamazione se si chiedono i requisiti scientifici ed il contenuto dei corsi per le educatrici dei nostri figli di 0-6 anni? Sinceramente a noi sembra una logica molto simile a quella per cui una mamma è omofoba se esprime un dubbio su di un insegnamento al proprio figlio, o per la quale chi come noi si “intromette” in questo tema debba temere di essere etichettato come fanatico.
Se poi c’è ancora qualcuno che pensa la “presunta ideologia del gender” non esista o che sia una nostra invenzione, invitiamo a leggere la concretezza (con tanto di esempi) delle parole di Papa Francesco di questi giorni (tratto da La Stampa):
“Volete sapere cosa è la colonizzazione ideologica?”, domanda il Papa ai giornalisti che viaggiano con lui, sintetizzando una delle domande nella conferenza stampa sull’aereo che lo riporta a Roma da Manila e chiarendo che il suo riferimento nei discorsi di questi giorni era al tentativo di imporre la cultura del Gender nelle scuole. “Colonizzazione ideologica è lo stesso – risponde dunque il Pontefice – che hanno fatto sempre i dittatori, anche in Italia con i ‘balilla’. Pensate anche alla ‘gioventù hitleriana‘, a quel popolo che ha subito tanta sofferenza”, suggerisce ai giornalisti.
“Vi faccio – continua il Papa – un esempio che ho vissuto io nel 1995: una ministra dell’istruzione pubblica alla quale avevo chiesto un forte finanziamento per le scuole dei poveri, rispose – racconta Bergoglio – che lo avrebbe concesso a condizione che si adottasse un certo libro che insegnava la teoria del Gender. Ma i soldi non erano mica i suoi… Si trattava di colonizzazione ideologica”, spiega il Pontefice. Secondo Papa Francesco, “ogni popolo ha la sua storia che andrebbe rispettata.”
Quindi andiamoci piano con la “decostruzione” degli stereotipi della natura, della realtà e del buon senso: noi siamo per il contrasto al bullismo, siamo per la lotta contro le discriminazioni, siamo per l’educazione alle differenze, ma non possiamo accettare supinamente che tutto ciò venga condotto in maniera ideologica e poco trasparente cercando di tenere fuori dai giochi i genitori, che al contrario hanno il diritto di priorità di scelte per l’educazione dei figli come sancito dall’Articolo 26 comma 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Qui di seguito la lettera della mamma rimasta coinvolta nell’episodio del “Cecchina”.
Ho deciso di scrivere questa lettera aperta, perché avverto il dovere di denunciare all’opinione pubblica un fatto che ritengo particolarmente grave.
Sono la mamma di un bimbo che frequenta l’asilo “Cecchina”, via della Cecchina 30, asilo nido comunale di Roma.
Ai primi giorni di dicembre ho deciso di inviare ai genitori degli altri bimbi che frequentano l’asilo nido, attraverso e-mail, sms e social network, un invito a partecipare ad un incontro che si sarebbe tenuto presso la Parrocchia di S. Alberto Magno in Roma, il giorno 11 dicembre 2014, dal titolo “Maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa: genitori ed educatori responsabili, consapevoli ed informati al servizio dei nostri figli”.
Si trattava di un incontro con diversi relatori tra cui il “Comitato Articolo 26”, un’associazione apolitica ed aconfessionale composta da genitori, docenti e professionisti dell’educazione, con la partecipazione ed il supporto di psicologi, pedagogisti ed operatori culturali, che riunisce persone accomunate dalla convinzione – fondata su dati di ragione – che vada rifiutata con decisione l’introduzione delle teorie basate sugli studi di genere nelle scuole italiane di ogni ordine e grado. Il nome dell’associazione è tratto proprio dall’art. 26, terzo comma, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che attribuisce ai genitori «il diritto di priorità nella scelta di educazione da impartire ai propri figli»; il motto del Comitato è «famiglia e scuola, insieme per educare», basato sul presupposto che le due istituzioni pedagogiche hanno confini e competenze distinte, ma che sia anche necessario collaborare in modo responsabile per il raggiungimento di una armoniosa crescita dei minori.
Alcuni genitori che avevano ricevuto l’invito a partecipare al predetto incontro, hanno ritenuto di rivolgersi al funzionario educativo dell’asilo nido “Cecchina”, per chiedere se anche in quella struttura fossero stati introdotti strumenti didattici volti alla promozione della teoria del gender.
Dato che già dall’anno scorso nell’asilo nido è stato adottato il noto testo intitolato “Piccolo uovo”, dell’autrice Francesca Pardi (Ed. “Lo Stampatello”) – racconto a fumetti che propone ai più piccoli un “viaggio per conoscere i più diversi tipi di famiglie” –, martedì 9 dicembre 2014 decido di chiedere un incontro con il funzionario educativo per capire in che modo venissero illustrati ai bimbi i contenuti di quel libretto e per parlare dell’evento: ho pregato, quindi, mio marito di fissare un incontro con lo stesso funzionario.
Al mio rientro a casa ricevo una doccia fredda. Mio marito mi riferisce che il funzionario educativo si era molto adirata con me a causa dell’invito che avevo rivolto agli altri genitori e che mi avrebbe contattato per chiedere chiarimenti sul mio comportamento ritenuto non corretto.
Fui convocata in mattinata, ed io mi presentai dal funzionario. Arrivata all’asilo nido, in presenza di un’educatrice, fui trattata con inspiegabile sufficienza e mi fu chiesto cosa volessi; le risposi che era stata proprio lei a convocarmi.
A quel punto il funzionario sbottò contestandomi aspramente il fatto che alcuni genitori si fossero lamentati perché nel mio messaggio di invito all’incontro avevo precisato che il veicolare concetti inerenti il gender potesse avvenire anche attraverso racconti e fiabe utilizzati negli asili nido; voglio sottolineare peraltro che la mia intenzione era solo quella di invitare i genitori ad una maggiore consapevolezza ed all’importanza di formarsi sul tema e di averlo fatto in maniera generica e senza fare riferimenti concreti ad un asilo specifico o al “Cecchina” in particolare. L’educatrice presente alla discussione con il funzionario, mi passò il testo “Piccolo uovo” specificando che secondo lei non avesse, in realtà, un contenuto di natura gender, e rivolgendosi a me aggiunse che se non volevo che mio figlio frequentasse la scuola pubblica, avrei potuto «rinchiuderlo nelle scuole dei preti»; non mi è chiara la causa scatenante di affermazioni del genere, dato che il mio lecito interesse nel monitorare gli insegnamenti fatti a mio figlio non ha un movente religioso, ma piuttosto laico e razionale e reputo che questo rientri non solo nella sfera dei miei diritti, ma in quella delle mie responsabilità nei confronti di mio figlio.
Dopo una discussione su come il funzionario fosse venuta a conoscenza dei messaggi da me inviati agli altri genitori, il funzionario mi ha mostrato il suo cellulare, dicendo che era stato un genitore ad inviarli e che se volevo ancora che mio figlio frequentasse quel nido, avrei dovuto accettare il modello educativo proposto. In alternativa, avrei potuto scegliere per lui un altro asilo nido. Poiché, però, io faccio parte del Comitato di Gestione dell’asilo, il funzionario mi comunicò che avrebbe indetto un consiglio straordinario per trattare l’argomento.
Nel frattempo le educatrici e lo stesso funzionario educativo hanno contattato i genitori dandomi della “bigotta”, sostenendo che fossi condizionata nel mio giudizio dalla dottrina della Chiesa cattolica, arrivando addirittura ad accusarmi di essere omofoba. Queste accuse sono assurde e infondate, dato che non ho assolutamente nulla contro le persone con tendenze omosessuali. Il fatto è che sono stata travolta da un mare di insulti gratuiti da parte di diversi genitori. Alcuni di loro mi hanno pure accusato di aver esteso l’invito all’incontro senza aver preventivamente parlato con le educatrici, cosa che reputo non fossi tenuta a fare, per i motivi sopra esposti e trattandosi di un semplice invito personale riguardo un evento culturale qualsiasi, non relativo alla vita della scuola.
Il 18 dicembre, alle ore 16.00, si svolge il consiglio straordinario del Comitato di Gestione, in cui vengo sottoposta ad una sorta di “processo inquisitorio”. Era presente una rappresentanza di due membri dell’assemblea dei genitori, quattro membri del Comitato di Gestione compresa la sottoscritta, cinque educatrici e il funzionario educativo. Sono intervenuta dichiarando che non intendevo fare alcun attacco contro qualunque forma di diversità, ma che volevo semplicemente che mi si fosse riconosciuto il diritto fondamentale all’educazione di mio figlio. In particolare, ho precisato che se l’asilo nido avesse trattato qualunque argomento concernente l’affettività o la sessualità, io volevo esserne messa al corrente, data la delicatezza del tema per l’età dei bambini (2 anni) e per subordinare la partecipazione di mio figlio al mio preventivo consenso scritto.
A queste mie parole, si è scatenato un attacco feroce da parte delle educatrici e dei genitori presenti, con il consueto corollario di insulti quali «omofoba», «ottusa», «bigotta», «discriminatrice», «parte di una minoranza arretrata bisognosa di aiuto»; qualcuno è arrivato a dire che «quelli come me dovrebbero essere chiusi in un ghetto» (mi è venuto un brivido alla schiena). Hanno poi aggiunto la considerazione che la scuola è pubblica e che di questo avrei dovuto farmene una ragione. Tutto questo, ripeto, per aver chiesto una maggiore trasparenza nelle attività di mio figlio che io reputo critiche. Quando, infine, hanno toccato il tema religioso sono giunti ad un livello di sarcasmo irriferibile: come se c’entrasse qualcosa con l’ordine del giorno dell’incontro, il funzionario educativo ha anche parlato di Benigni, affermando che lo stesso comico avrebbe sostenuto che l’adulterio non esiste. Ha, poi, precisato che molti dei testi in questione erano in realtà stati donati alla scuola dagli stessi genitori.
Un genitore mi ha persino minacciata di querelarmi per stalking, a causa del mio messaggio inviato per l’incontro di cui sopra. Mi è sembrato evidente che l’intenzione fosse di farmi perdere le staffe, ma io sono riuscita a restare assolutamente lucida: ho preferito restare in silenzio anziché rispondere ad una pioggia di insulti fuori contesto.
Infine hanno concluso riferendomi che «se mio figlio avesse preso da leggere uno di quei libri sulle tematiche inerenti la teoria del gender, le educatrici lo avrebbero lasciato fare, nonostante il mio espresso parere contrario»: ad oggi mio figlio non frequenta l’asilo nido, perché non sono più sicura che quello sia il luogo migliore per la sua crescita emotiva.
In conclusione, mi chiedo e vi chiedo che senso abbia la disposizione dell’art.2 del Regolamento degli Asili Nido del Comune di Roma, nella parte in cui impone «un’informazione dettagliata sulle finalità del progetto educativo e sul funzionamento del servizio offerto ai genitori prima dell’ingresso dei bambini, anche attraverso incontri di gruppo, allargati al gruppo educativo».
Mi chiedo e vi chiedo che senso abbia l’espressione contenuta nel “Modello Educativo dei Nidi e delle Scuola d’Infanzia di Roma Capitale” (documento ufficiale del Comune di Roma pubblicato nel marzo 2013), nella parte cui prevede che «le educatrici declinano l’azione educativa in dialogo costante con le famiglie» (punto 1.2).
Ma ancora di più mi chiedo e vi chiedo, che cosa significhi la disposizione del punto 2.1 del citato “Modello Educativo”, la quale afferma che «il coinvolgimento delle famiglie è centrale nel progetto educativo», richiamando espressamente il fatto che «La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, all’art.16, afferma che “la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”», e che «in particolare, per l’infanzia, la famiglia rappresenta il luogo di protezione, un contesto relazionale stabile, attendo alla crescita del bambino». Per questo, secondo quel punto del “Modello Educativo”, «i Nidi e le Scuole dell’Infanzia di Roma Capitale, al fine di costruire una efficace rete educativa, individuano modi e spazi per collaborare con le famiglie», e partendo «dal presupposto che i genitori rappresentano una risorsa per tutta la comunità educativa», «in quanto tali, i Nidi e le Scuole dell’Infanzia si impegnano a promuovere la partecipazione dei genitori e degli altri adulti di riferimento del bambino, all’interno del servizio, così da poter “importare” il loro patrimonio culturale e personale». «Per i funzionari educativi, i coordinatori, le educatrici e le insegnanti, il coinvolgimento e la collaborazione con i genitori significano», tra l’altro, «assumere e mantenere un atteggiamento di ascolto e di accoglienza», «favorire una efficace comunicazione quotidiana, consentendo ai genitori l’accesso a tutte le informazioni riguardanti il bambino», «valorizzare le unicità proprie di ciascun bambino e della sua famiglia».
E’ così che il funzionario educativo dell’asilo nido “Cecchina” ha ritenuto di coinvolgere la mia famiglia, in un costante rapporto di dialogo e collaborazione sull’educazione di mio figlio? E’ così che lo stesso funzionario si è impegnato a valorizzare «l’unicità propria della mia famiglia» e a promuovere la nostra partecipazione di genitori «per poter “importare” il nostro patrimonio culturale e personale nel servizio?”. Ma forse questo vale per tutti i patrimoni culturali e personali, tranne che per il caso della mia famiglia.