Documento di Economia e Finanza, questo il significato del DEF, approvato mercoledì 6 aprile dal Governo. Spulciando il testo, che indica la strategia economica e di finanza pubblica del nostro Paese, ci siamo accorti, increduli, che le notizie relative a un ridimensionamento delle risorse impiegate nell’istruzione corrispondevano alla realtà. Come si evince dalla tabella IV.3, la spesa per istruzione passa dal 4% del PIL nel 2020 al 3,5% nel 2025, con una riduzione prevista del 12,5% in pochi anni(1).
Ma come? – ci siamo chiesti – Le risorse destinate alla scuola non dovevano finalmente aumentare anche grazie ai contributi europei del PNRR? Non era forse la scuola una priorità se non “la” priorità del Governo? Ci si aspettava infatti, anche in considerazione delle difficoltà che i nostri giovani hanno patito in questi due anni di pandemia, che ci fosse un’inversione di tendenza, con un aumento delle risorse che potessero contribuire a colmare le lacune accumulate dagli studenti a causa della prolungata chiusura delle scuole e dell’ampio ricorso alla DAD.
Il dato lascia ancor più sorpresi se consideriamo che da tempo l’Italia è uno dei paesi che spende meno, rispetto agli altri paesi membri dell’OCSE. Secondo il rapporto Education at a Glance del 2021 il nostro Paese ha speso nel 2018 il 4,1% del PIL, ponendosi al 29esimo posto, contro una media OCSE del 4,9%(2).
Questa diminuzione delle spese non è giustificabile neanche considerando il forte calo delle nascite degli ultimi anni, posto che “tale declino era in realtà già in atto da diversi anni ed è avvenuto in modo più rapido rispetto ai cambiamenti demografici”, come già scriveva l’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani in una nota del luglio del 2019 sulla spesa per la pubblica istruzione. Leggendo la nota si scopre che “tra il 2007 e il 2017 la quota di popolazione 3-25 anni sul totale della popolazione italiana è calata del 2,3% mentre, sempre nello stesso periodo, la spesa media per popolazione 3-25 anni in pubblica istruzione in rapporto al reddito pro capite è calata del 14,1 per cento”(3).
Infine, ritornando nuovamente alla tabella IV.3 contenuta nel DEF, ci accorgiamo che la spesa relativa all’istruzione si attesterà al 3,5% del PIL anche nei decenni successivi al 2025, quasi a voler indicare che il Governo sembra non essere in grado nemmeno di immaginare la possibilità, per gli anni a venire, di contrastare il calo delle nascite e invertire la drammatica tendenza demografica in atto nel Paese.
Un anno fa lo stesso Presidente del Consiglio, nel suo discorso agli Stati Generali della Natalità, ha detto: “Un’Italia senza figli è un’Italia che non ha posto per il futuro, è un’ Italia che lentamente finisce di esistere”(4). Come genitori, non possiamo che condividere queste parole ma nello stesso tempo chiediamo con forza che le politiche a sostegno della natalità e dell’educazione siano poste coerentemente e concretamente al centro dell’azione politica del Governo e della classe dirigente del Paese.
(1) MEF, Documento di Economia e Finanza 2022 – Sezione I – Programma di Stabilità p.102
(2) OCSE, Education at a Glance 2021 – Table C2.1 p.252
(3) https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-la-spesa-per-la-pubblica-istruzione
(4) https://www.agensir.it/quotidiano/2021/5/14/stati-generali-natalita-draghi-unitalia-senza-figli-lentamente-finisce-di-esistere-per-il-governo-questo-e-un-impegno-prioritario/