Riportiamo un estratto di un contributo di Alessandro D’Avenia sul tema della noia che spesso pervade i ragazzi e sulle chiavi per poterla affrontare e sconfiggere. Segnaliamo anche che in questi giorni è in uscita il nuovo libro di D’Avenia (link): “Ogni storia è una storia d’amore”
Ho un nipote di 9 anni, curioso e attivo, sempre in esplorazione. Quando gli si indica qualcosa di nuovo la sua reazione è binaria: «Mi interessa» e rimane coinvolto fino a superare la passione di chi propone.
«Non mi interessa», e niente potrà fargli cambiare idea. Ha quello che chiamo «l’istinto dell’interessante» che lo aiuta a percepire subito se quell’attività conoscitiva, ludica, sociale lo farà crescere. Credo sia proprio di tutti i bambini aperti alla vita.
Questo è un nodo dell’educazione, l’interesse, qualcosa che è già nei ragazzi e che noi abbiamo il compito di agganciare alla realtà. L’alternativa è la noia, cioè costringere a fare qualcosa che non fa crescere, fino sentirsi rinchiusi nella vita come in una stanza delle torture. In un momento in cui le emozioni, nutrite da immagini e messaggi di conferma narcisistica del proprio io, ostacolano l’esplorazione reale del mondo a causa dell’apporto ipercalorico di ciò che soddisfa in modo effimero, ma nel profondo affama, l’interesse è cruciale nell’educazione e quindi nell’insegnamento.
Educare è aiutare a crescere, l’interesse non è quindi il frutto di effetti speciali più o meno tecnologici (quanta noia in un film senza storia ma traboccante di effetti), ma la conseguenza del fatto che gli oggetti che presentiamo all’attenzione dei ragazzi hanno ragione di bene, di vero e di bello, e i ragazzi vi si aggrappano come un bambino alla mammella, perché sanno, anzi sentono prima di saperlo, che questo li aiuterà a crescere. Crescere è infatti, a qualsiasi età, l’unico modo che l’uomo ha per guadagnare tempo, cioè per dare scacco alla morte portando a compimento il progetto di vita che è. Non si guadagna tempo facendo più cose o in meno tempo o in gran quantità, come si illude la cultura delle prestazioni (vedi i programmi di scuola, grandi corse verso cosa?).
Una lezione è noiosa perché non aiuta a crescere, cioè perché non è vera, bella, buona, innanzitutto per noi che la stiamo facendo. Quando entriamo in un ristorante pretendiamo un piatto buono, da un amico vogliamo che sia sincero, ci innamoriamo di qualcuno perché ne abbiamo scorto la bellezza. Noi siamo presi dalla realtà non perché abbia effetti speciali, ma per quelle tre cose che ci fanno vivere relazioni profonde e quindi crescere: verità, bene, bellezza.
Non serve una scuola divertente, ma una scuola interessante. Interesse vuol dire essere (esse) dentro (inter), essere sorpresi e quindi presi da qualcosa che per via esperienziale (cioè con tutto l’essere) percepiamo come vitale, perché coinvolge il nostro essere dalle fondamenta, così da metterlo in movimento esplorativo della realtà. Le nostre lezioni diventano poco interessanti non perché non conosciamo la materia, ma perché non facciamo lo sforzo di far sì che quel contenuto abbia presa sulla sostanza vitale dell’uomo o della donna in formazione, cioè non diamo ragione che vitale lo è innanzitutto per noi.
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