Di Daniela Bianchini, giurista, avvocato familiarista
Lo sport è fondamentale per il sano ed armonioso sviluppo dei minori, non solo in termini di salute fisica e mentale (sviluppo delle ossa, dei muscoli, abbassamento del livello di stress, miglioramento delle capacità mnemoniche e di coordinazione ecc.) ma anche in termini di socializzazione e di apprendimento della disciplina: attraverso la pratica sportiva, bambini ed adolescenti sperimentano le regole della collaborazione, imparano a rapportarsi in maniera adeguata con i coetanei e agli adulti di riferimento e sviluppano le capacità organizzative.
Un effetto positivo si registra anche in termini di autostima: i giovani che praticano sport sono sollecitati ad entrare più profondamente in contatto con il proprio corpo, imparando così a conoscerne limiti e capacità e, al tempo stesso, acquisendo una maggiore consapevolezza di sé.
È quindi importante abituare i bambini fin da piccoli ad uno stile di vita sano ed attivo, avendo cura non soltanto dell’alimentazione ma anche della pratica sportiva, posto che è oramai nota la correlazione fra vita sedentaria e comportamenti alimentari scorretti.
Secondo le ultime Linee Guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’attività fisica e il comportamento sedentario ‒ presentate il 25 novembre 2020, in continuità con le raccomandazioni in materia del 2010 e con le indicazioni relative ai bambini sotto i cinque anni di età ‒ per garantire uno stato di salute ottimale è necessario ridurre il tempo trascorso in condizioni di inattività.
Se la popolazione mondiale fosse più attiva, ha messo in evidenza l’Organizzazione Mondiale della Sanità, potrebbero essere evitati più di 5 milioni di morti ogni anno. Dai dati statistici raccolti nel periodo precedente alla pandemia è risultato infatti che 1 adulto su 4 non dedica un tempo sufficiente all’attività sportiva o non la pratica affatto. Altrettanto preoccupanti sono i dati relativi agli adolescenti: più dell’80% dei ragazzi nel mondo è risultato scarsamente attivo. Con la pandemia e le relative difficoltà a reperire spazi idonei all’attività fisica il quadro è persino peggiorato.
Da qui l’interesse dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che nelle citate Linee Guida del 2020 ha previsto raccomandazioni specifiche per ogni fascia di età, a partire da quella <1 anno.
È interessante notare che l’OMS, con riferimento alle indicazioni per i bambini e gli adolescenti, ha specificato anche l’importanza di evitare (nella fascia <1anno) o comunque di ridurre (fasce 1-2 anni, 3-4 anni, 5-17 anni) il tempo giornaliero trascorso davanti a tv, pc, smartphone e tablet.
Questa precisazione fatta dall’Agenzia ONU è molto importante e va letta assieme alle statistiche relative alle dipendenze patologiche da dispositivi elettronici: sono infatti in aumento, anche in Italia, i minori al di sotto dei dodici anni di età con problematiche relative all’uso eccessivo di smartphone, internet e social, con gravi ripercussioni sullo stato di salute psicofisica e sui rapporti sociali.
Alla base delle dipendenze patologiche dei minori (sia quelle comportamentali che da uso di sostanze) è stato spesso riscontrato un senso di vuoto e di noia lamentato dai ragazzi. Il mancato coinvolgimento in attività stimolanti ed educative, in grado di formare la persona nella sua integrità, lascia nei ragazzi un vuoto che troppo spesso è colmato con attività inadeguate o inutili (come le ore trascorse davanti ad uno schermo).
L’attività sportiva, oltre ad apportare i benefici di cui si è detto, si pone quindi anche come prezioso alleato nella prevenzione delle dipendenze patologiche di bambini e ragazzi, rappresentando un modo sano, divertente e costruttivo di impiegare il tempo libero.
Sul tema di recente è intervenuta anche l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, che ha sottolineato come lo sport sia un vero e proprio diritto dei minori, in quanto anche attraverso la pratica sportiva bambini ed adolescenti possono raggiungere quel benessere necessario per il loro sano ed equilibrato sviluppo.
La Convenzione ONU del 1989 non parla espressamente di “diritto allo sport”, tuttavia la sussistenza di questo diritto si può ricavare dal combinato disposto di diversi articoli della Convenzione, quali
l’art. 24 secondo cui “Gli Stati parti riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile”,
l’art. 27 secondo cui “Gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo a un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale” e
l’art. 31 secondo cui “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica”.
È stato proprio muovendo da quest’ultimo articolo e in particolare da quelle “attività ricreative” cui lo stesso fa riferimento, che in dottrina si è iniziato a parlare di sport come vero e proprio diritto dei minori, in quanto elemento indispensabile per il loro sano sviluppo. Inoltre, per i minori con disabilità il rispetto dei diritti fondamentali – fra cui il diritto allo sport – è ribadito dall’art. 7 della Convenzione ONU del 2006 sui diritti delle persone con disabilità, come già precisato nel 2018 dall’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza nel documento “Il diritto al gioco e allo sport dei bambini e dei ragazzi con disabilità”, realizzato in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti.
A conferma di ciò, nei giorni scorsi – durante la settima edizione della European Week of Sport, la settimana che dal 2015, su iniziativa della Commissione europea, si svolge nei giorni 23/30 settembre con l’obiettivo di promuovere lo sport e gli stili di vita sani – è stato firmato dall’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza e la sottosegretaria allo Sport un protocollo di intesa per diffondere la cultura dei diritti dei minori anche in ambito sportivo e per garantire il diritto allo sport.
“Privare un bambino o un adolescente della pratica sportiva” – si legge nel Protocollo – “significa negare di fatto un diritto sancito dalle convenzioni internazionali”.
Nello stesso periodo, per l’anno scolastico 2021/2022, il Ministero dell’Istruzione ha promosso, in collaborazione con Sport e salute S.p.A., il progetto nazionale “Scuola Attiva Kids” per la scuola primaria: si tratta dell’evoluzione del progetto “Sport di classe” già attivato negli anni passati e prevede l’inclusione nel PTOF, per gli istituti aderenti, di due ore settimanali di attività motoria. Il progetto ha come obiettivo anche quello di favorire l’inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali, oltre a “valorizzare l’educazione fisica nella scuola primaria per le sue valenze educativo/formative, per favorire l’inclusione e per la promozione di corretti e sani stili di vita”, come si legge sul sito web del MIUR.
Si tratta di iniziative senz’altro importanti, che confermano la necessità di interventi mirati a livello locale, in modo da garantire effettivamente a tutti i minori – e soprattutto a quelli privi dei mezzi adeguati – di poter beneficiare degli effetti positivi dello sport. Non tutte le famiglie, infatti, hanno la possibilità di far praticare ai figli l’attività fisica di cui avrebbero bisogno, sia per ragioni economiche, sia per ragioni organizzative. Bambini e adolescenti dovrebbero quindi poter praticare già a scuola una sufficiente attività fisica, cosa che invece, stando ai dati raccolti, accade soltanto in casi eccezionali.
Secondo la recente indagine condotta dall’Osservatorio Con i Bambini e Openpolis, infatti, solo il 40,8% degli istituti scolastici in Italia è provvisto di palestra o piscina. L’indagine ha altresì rilevato che circa 1 bambino su 5 nell’età compresa fra i 6 e i 10 anni non pratica sport e che nel 30% dei casi le ragioni sono di tipo economico.
Diversa è invece la situazione in altri Paesi europei, dove vengono stanziati più fondi pubblici per l’istruzione e dove la formazione scolastica di bambini e adolescenti prevede anche ore dedicate all’attività sportiva, in spazi adeguati e provvisti di quanto necessario.
Si pensi ad esempio alla Francia: le scuole francesi sono in genere dotate di palestre attrezzate, piscine, piste di atletica, spazi per i giochi di squadra. La logica alla base è molto semplice: i cittadini con uno stile di vita sano si ammalano di meno e quindi lo Stato risparmia i costi sanitari a cui invece andrebbe incontro per curare tutte quelle patologie legate alla sedentarietà. In Italia, al contrario, si continua ad investire poco nell’istruzione e certamente meno di quanto viene invece fatto in altri Paesi europei come ad esempio la Francia, la Germania o la Spagna. Gli edifici scolastici italiani sono risultati spesso privi della palestra o con spazi dedicati all’attività fisica insufficienti in relazione al numero degli studenti, con il risultato che non di rado la palestra – spesso fatiscente – o il cortile – quando c’è – vengono utilizzati a rotazione dalle diverse classi.