Nelle ultime settimane il tema “gender a scuola” è esploso in tutta la sua complessità, anche grazie all’imponente manifestazione del 20 Giugno a Roma.
Si è registrata una importantissima sensibilizzazione da parte di tante famiglie italiane, ma anche – comprensibilmente – l’insorgere di molteplici dubbi su particolari aspetti e possibili implicazioni del fenomeno, anche a causa di forme di comunicazione non sempre puntuali.
Oggi è doveroso continuare a fare chiarezza per sostenere il nostro compito di genitori ed insegnanti, argomentare le legittime perplessità su quelle applicazioni degli studi di genere nel nostro sistema di istruzione che riteniamo inaccettabili, specificando anche quali situazioni dovrebbero preoccuparci nell’immediato e quali meno.
Ma è soprattutto necessario rilanciare una rinnovata responsabilità educativa dei genitori, che veda alleate e mai contrapposte le famiglie e la scuola, le due principali agenzie educative.
Partiamo da qualche domanda e risposta sul contesto in cui si aprirà il nuovo anno scolastico.
A breve approfondiremo in questa sede alcuni aspetti specifici sulla normativa scolastica – recentemente aggiornata – e alcune strategie sulle modalità più corrette di partecipazione dei genitori alla vita della scuola, per farci trovare preparati al suono della prima campanella.
Cosa ci aspetta? Facciamoci in quattro… aspetti da considerare con attenzione.
1 – I famigerati Standard OMS
Nelle settimane scorse si è molto dibattuto, sui media e sui social, del documento “Standard di Educazione Sessuale in Europa” (link) i cui contenuti hanno chiaramente destato allarme da parte di molti.
La prima domanda è: lo troveremo da Settembre applicato per legge in tutte le nostre scuole? Possiamo ritenere di no (per fortuna …). Ma in che senso?
Occorre precisare che :
- Tale documento non ha carattere prescrittivo per gli stati membri dell’ UE (il Parlamento Europeo non ha potere decisionale in maniera di educazione );
- Non vale come riferimento esplicito di provvedimenti legislativi del sistema scolastico italiano.
D’ altro canto:
- esso costituisce a tutti gli effetti lo sfondo culturale – evidentemente molto critico – dell’attuale orientamento europeo in tema di educazione sessuale da cui linee educative anche in materia di educazione alla cosiddetta “parità di genere”.
- Tale testo nel suo complesso e per alcuni aspetti particolari, viene esplicitamente indicato come riferimento teorico ed operativo da associazioni LGBT (si veda http://www.scosse.org/i-report-dei-tavoli/) o da singole istituzioni quali alcune Aziende sanitarie locali (si veda http://www.asl5.liguria.it/Portals/0/Users/016/16/16/Piano_Educazione_Salute_AS_2014_16.pdf) che intervengono già direttamente nelle scuole in progetti di educazione affettiva e sessuale.
2 – I dubbi sul gender nella nuova legge sulla scuola
La nuova legge sulla scuola 13 Luglio 2015 n. 107 “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti” prevede l’inserimento nella scuola italiana dell’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza e si riferisce alla legge 119/2013, che introduce l’educazione di genere attraverso il rimando al documento “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”. Tale Piano (come abbiamo spiegato dettagliatamente nel nostro articolo “Il Re nudo e una Buona Scuola”) immette di fatto all’ art 5c.2 un approccio di genere nella pratica educativa e didattica e “ l’approfondimento dei temi legati all’identità di genere e alla prevenzione della discriminazione di genere. ai fini del contrasto della violenza contro le donne.
Qui di seguito un passaggio significativo del Piano di azione (riferimento pag. 18):
Obiettivo prioritario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini, nel rispetto dell’identità di genere, culturale, religiosa, dell’orientamento sessuale, delle opinioni e dello status economico e sociale, sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica.
Nell’ambito delle “indicazioni nazionali” per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, per i licei, per gli istituti tecnici e professionali, il governo provvederà ad elaborare un documento di indirizzo che solleciti tutte le istituzioni scolastiche autonome ad una riflessione e ad un approfondimento dei temi legati all’identità di genere e alla prevenzione della discriminazione di genere, fornendo, al contempo, un quadro di riferimento nell’elaborazione del proprio curricolo all’interno del piano dell’offerta formativa.
È necessario specificare che “genere” (in inglese gender) non traduce semplicemente il termine “sesso” (femminile e maschile), ma – come afferma Laura Palazzani (ordinario di Filosofia del Diritto presso la facoltà di Giurisprudenza della LUMSA di Roma; vicepresidente del Comitato Nazionale per la Bioetica) “tale espressione veicola una teorizzazione (emersa all’interno della cultura anglosassone e poi rapidamente diffusa nelle altre culture) che è fortemente impregnata di una filosofia […] L’ identità di genere indica la dimensione dei ruoli percepiti psicologicamente, e determinati culturalmente come maschili o femminili […] Le gender theories intendono dimostrare come l’identità di genere (costruita dalla percezione psicologica e dalla socializzazione) abbia e debba avere una priorità rispetto all’identità sessuale. In questa prospettiva, ciò che conta non è il fatto di nascere maschi o femmine, ma “come” ci si percepisce nella sfera psichica soggettiva (L. Palazzani , “Identità di genere?” Milano, 2008 – pag. 30-31-35)
Tale termine (come l’ espressione “ identità di genere”) possiede in sé quindi un’ intrinseca ambiguità che può essere spinta fino ad innumerevoli virtuali “ aperture di significato”, fino a quell’ indifferentismo sessuale che è stato purtroppo lo sfondo di molte iniziative denunciate in numerose scuole nell’ ultimo anno.
Alla base degli studi di genere risiede il principio che non solo il ruolo di genere (cioè che cosa un bambino deve fare in quanto maschio e una bambina in quanto femmina, in termini di aspettative e condizionamenti) ma anche l’ identità di genere – cioè il sentirsi maschio o femmina e l’orientamento sessuale – sono identificazioni dovute alla cultura dominante, la stessa che imporrebbe l’eterosessualità come norma sociale.
Ecco perché ad esempio, affermiamo che sarebbe opportuno specificare e ufficializzare – all’interno di progetti scolastici in tema di “discriminazione in base al genere” o di decostruzione dei cosiddetti “stereotipi di genere” – che per “genere” si voglia intendere il significato univoco della differenza sessuale riferita al maschile ed al femminile, e illustrare con chiarezza come si intenda presentare il concetto di orientamento sessuale.
Il “gender” nel suo percorso è stato, e viene ancora oggi, utilizzato in alcuni casi come categoria interpretativa del contesto sociale in funzione dei legittimi diritti delle donne (in termini di diritto all’istruzione, accesso alle cariche pubbliche e trattamenti retributivi, ad esempio).
Anche nell’adozione dell’ottica di genere come misura di prevenzione della discriminazione e della violenza sulle donne, questa categoria – relativamente al modo di interpretare i ruoli sociali e familiari e i rapporti tra maschi e femmine – si presta però ad interpretazioni non universali e quindi ideologiche. Se per prevenire il femminicidio si proponesse ad esempio, attraverso l’ educazione alla parità di genere, una interpretazione “femminista” dei rapporti tra uomini e donne, saremmo anche in questo caso davanti al rischio che si lasci introdurre un’educazione etica “di stato”, che potrebbe entrare in conflitto con le scelte e la responsabilità educativa delle singole famiglie.
Ribadiamo, in qualità di genitori e docenti, che sono da respingere senza esitazioni tutte quelle applicazioni ideologiche (che sono in nuce contenute nel concetto stesso di genere) che mettono in discussione la naturale complementarietà dei due sessi, il fondamento eterosessuale della società e per fare questo confondono, senza legittimità scientifiche, lo sviluppo affettivo e sessuale di bambini ed adolescenti. Purtroppo l’analisi del fenomeno gender svela un nucleo ideologico da cui dobbiamo guardarci e da cui tutelare i nostri figli: “Laddove mette a nudo la sua vera natura e ne svela gli aspetti più radicali, il gender provoca uno shock”! (M.Peeters: Il Gender, Una questione politica e culturale ,Milano 2014 ).
Posta la questione in questi termini, è evidente per quale motivo le rassicurazioni espresse dal ministro Giannini in sede di discussione parlamentare, in merito al fatto che “il gender non entrerà nella riforma della scuola” non possano ritenersi sufficienti, se non si sostanzieranno in provvedimenti formali e a largo raggio, più specifici ed estesi della stessa Circolare Ministeriale sul Consenso Informato emessa il 6 Luglio scorso e al fine di rendere realmente efficaci le disposizioni già in essa contenute (vedi articolo precedente).
Come è stato già da più parti sottolineato inoltre, la prassi del consenso informato è contemplata da questa circolare ministeriale, solo per le attività extracurricolari, mentre il piano d’azione introdotto dalla legge 119/2013 e quindi dal comma 16 del DDL, prevede:
“l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica” e “nell’ambito delle indicazioni nazionali”, è previsto un documento di indirizzo che “solleciti tutte le istituzioni scolastiche ad un approfondimento dei temi legati all’identità di genere“.
E’ improbabile che tutto ciò sia da ritenersi attività esclusivamente extracurricolare, e di conseguenza che questa circolare vada pienamente incontro alle reali richieste delle famiglie.
Va comunque riconosciuta l’ importanza del fatto che con questo documento sia stato esplicitato che “Le famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano dell’Offerta Formativa e, per la scuola secondaria, sottoscrivere formalmente il Patto educativo di corresponsabilità per condividere in maniera dettagliata diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie” Nel testo,inoltre “Si ricorda alle scuole, di assumere le iniziative utili per assicurare da parte delle famiglie una conoscenza effettiva e dettagliata del POF” aprendo uno spiraglio significativo alla scelta educativa delle singole famiglie, che da oggi dovranno sfruttare al meglio tutti gli spazi di partecipazione che la scuola offre loro.
Le preoccupazioni condivise da molti genitori e l’invito ad un loro rinnovato protagonismo educativo, sono stati espressi anche dalla dottoressa Stellacci – dirigente del MIUR – durante il seminario indetto dal Forum delle Associazioni Familiari del Lazio, il 4 Luglio scorso a Roma dal titolo “Le relazioni affettive. Tra desiderio, fantasie e realtà. Maschile e femminile a confronto”. La Stellacci ha affermato che “la rassicurazione del ministro, se da un lato ci soddisfa, dall’altro non ci sembra sufficiente per abbassare la guardia. Atteso che ci risulta che sono stati svolti corsi di tal genere nelle scuole, su iniziative di dirigenti compiacenti a volte anche con l’approvazione di O.O.C.C. distratti, anche prima dell’ inizio della discussione del DDL sulla Buona Scuola […] Le deplorevoli iniziative già assunte, in barba ad una doverosa preventiva informazione ed adesione delle famiglie, in caso di bambini minorenni, deve indurci ad incrementare l’ attenzione su quanto avviene nelle classi frequentate dai nostri figli e nipoti” (link).
Se non è fondato supporre che in ogni scuola e per espressa indicazione del MIUR già da settembre possano partire progetti improntati all’ottica di genere – con tutte le possibili implicazioni del termine – è invece ragionevole ritenere che l’ ufficializzazione dell’educazione di genere di legittimerà di fatto diffuse iniziative didattiche, che potrebbero essere affrontate con approcci e metodi non sempre controllabili e condivisibili, a seconda delle specifiche sensibilità educative delle scuole. Ragionevolmente poi, darà ulteriore avallo ai quei progetti, introdotti nelle scuole dalle associazioni femministe radicali e vicine ai movimenti LGBT, che seppur presentati con ottime finalità, hanno sollevato gravissimi problemi per contenuti e modalità metodologiche giudicate a ragione inappropriate e inaccettabili.
Segnali preoccupanti giungono peraltro dalle sperimentazioni di formazione dei docenti già “attivate” dal MIUR, come quella svolta in collaborazione con Soroptmist Italia: “Promuovere l’avanzamento della condizione femminile e prevenire e contrastare la violenza e la discriminazione di genere mediante un corretto percorso formativo in ambito scolastico”. Un titolo innocuo, di quelli con cui si vorrebbe tranquillizzare le famiglie sul fatto che nell’educazione di genere come il Ministero la intende, il fantomatico gender non potrà entrare, come se i due termini (genere e gender) indicassero realtà distinte e non invece lo stesso concetto, denso di tutte quelle molteplici sfumature ed ambiguità che ne rappresentano a tutti gli effetti la intrinseca pericolosità.
Se infatti si scopre che i pedagogisti che il MIUR scrittura (o lascia introdurre al suo interno) per le prove generali della formazione futura agli insegnanti sulla parità di genere,attraverso la suddetta iniziativa, sono gli stessi che collaborano con l’ UNAR all’ interno della strategia LGBT rivolta a indottrinare i giornalisti (http://www.pariopportunita.gov.it/images/lineeguida_informazionelgbt.pdf), come Giuseppe Burgio; o sottoscrivono pubblicamente il convegno di SCOSSE “Educare alle differenze – 2014” , accanto a sigle come quelle del Centro di Cultura Omosessuale Mario Mieli ed al Gay Center (come lo stesso Burgio ed Irene Biemmi), allora ci sembra legittima la preoccupazione che questa “formazione” – che potrebbe tradursi realisticamente in pratica didattica – sia fondata su assunti ideologici e spinta da interessi di parte. E che dietro all’ apparenza “innocua” di educazione al rispetto delle donne, l’educazione “di genere “, nasconda purtroppo tra le sue pieghe il rischio concreto di proporre a bambini e ragazzi un vero e proprio indifferentismo sessuale.
3 – Occhi aperti sui progetti
Raccomandano una particolare attenzione proprio le proposte didattiche di tante associazioni – che per tramite dell’educazione alle differenze, introducono quell’educazione “al genere” i cui possibili risvolti radicali sono ben esplicitati in testi come “Educare al genere” e “Di che genere sei” restano un aspetto a cui rivolgere una particolare attenzione. Nel primo testo – a pag. 13- è proposto che l’ attività educativa parta da “la revisione di concetti stereotipati come quello che esistano in natura soltanto due sessi (maschio e femmina) cui corrispondono sul piano socio- culturale due generi (uomo- donna)” .Nel secondo si trovano affermazioni come :“L’obiettivo è destrutturare l’eterosessismo ed il genderismo diffusi”.
Se è pleonastico affermare che la scuola (e la famiglia) debba educare al rispetto e alla non discriminazione, non lo è affatto ribadire che questa educazione non possa costituire il cavallo di Troia per introdurre nelle scuole iniziative prive di fondamento pedagogico che possono confonderli nel loro delicato processo di costruzione dell’ identità, scavalcando per di più i legittimi principi educativi delle famiglie.
Per questo occorre continuare a vigilare affinché vengano garantiti al contempo un’educazione affettiva e sessuale pedagogicamente fondata, ed il rispetto dei diritti dei genitori ad essere interpellati ed ascoltati su ambiti di intervento tanto delicati, all’interno di un reciproco e corretto riconoscimento di ruoli educativi tra scuola e famiglia.
4 – E infine… l’ Unar
È stato lo stesso sottosegretario all’istruzione Gabriele Toccafondi in un post su Facebook diffuso nei giorni scorsi, ad affermare che per far sì che la teoria gender non entri nella lotta alle discrimìnazioni “il governo deve fare chiarezza, risolvendo con il Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio la funzione di UNAR” (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale). Il problema, secondo Toccafondi, è la “nuova e ambigua funzione che questo ufficio (l’UNAR appunto) da tre anni si è di fatto autoassegnato, occupandosi quasi esclusivamente di gender quando invece oltre il 75% delle segnalazioni che gli arrivano sono di carattere razziale o di fede religiosa. Una evidente deriva ideologica della sua funzione… supportata dall’attivismo dell’Unione Europea. È stata quindi definita una Strategia Nazionale ( che per la scuola prevedeva i famigerati libricini “Educare alle differenze a scuola” n.d.r. – link) – prosegue il sottosegretario – “senza coinvolgere né il Parlamento né i Ministeri interessati (redatta con la collaborazione di 29 associazioni LGBT e nessun’associazione familiare n.d.r.) per poi passare alla proposta e alla firma di protocolli tra l’UNAR stessa e i singoli dicasteri. In questo modo si è arrivati direttamente all’utente finale, cioè le scuole, dove vengono proposte iniziative di singole associazioni per dare attuazione a quanto sopra riportato, spesso anche senza il passaggio dal consenso informato dei genitori. È questo percorso che esaspera gli animi di genitori e insegnanti, perché perseguito nella totale assenza di un dibattito e di un confronto costante con i genitori”. Già in passato Toccafondi aveva lamentato il fatto che l’UNAR avesse operato senza l’approvazione del Dipartimento per le pari opportunità e del Ministero, cimentandosi nella trattazione di tematiche sociali con risvolti pedagogici che esulano dai suoi compiti.
Il post di Toccafondi è una presa di posizione finalmente molto chiara espressa da un sottosegretario alla Pubblica Istruzione, che evidenzia la gravità della situazione e ci induce a non abbassare il livello di sorveglianza.
Nell’anno scolastico alle porte il governo dovrà garantire che le funzioni dell’UNAR rientrino nell’alveo delle sue specifiche competenze, arginando il rischio di derive ideologiche e di iniziative incontrollate non garantite sul piano dei fondamenti scientifici, ad opere di agenzie “educative” non meglio identificate e senza il coinvolgimento ed il consenso pienamente informato di genitori e docenti.
Quali considerazioni?
Tutto questo soprattutto ci parla della necessità di una rinnovato protagonismo educativo da parte dei genitori e di corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia.
Il dibattito sulla scuola esige pertanto la presenza delle famiglie, i soggetti che possiedono appieno la titolarità nell’ educazione dei propri figli.
E’ soprattutto uno sguardo attento su questa generazione di bambini e ragazzi che richiede l’impegno di una presenza che sia insieme accompagnamento e desiderio di trasmettere il senso e la bellezza del crescere nella corretta relazione con se stessi e con gli altri, il senso e la bellezza della vita stessa. L’ educazione rappresenta appunto questa dinamica che è accompagnare e “condurre” ( e- ducere appunto). Ma educare significa anche “nutrire”, di un cibo “buono” che produce frutti a sua volta; non solo per quegli stessi bambini e ragazzi, ma per la società intera, in riferimento alla quale e per la quale anche, quel processo educativo ha luogo e ragion d’essere.
E quale cibo offrire loro sta a noi, genitori ed educatori, comprenderlo ed indicarlo con responsabile discernimento..
Quindi genitori vigili, informati ed assertivi delle proprie convinzioni e dei propri diritti; che privilegino toni propositivi e dialoganti, senza approcci di diffida già in partenza che non aiuterebbero l’ avvio di un’ efficace collaborazione con le istituzioni scolastiche.
Purtroppo l’attivismo LGBT e la diffusione sotterranea delle teorie di genere nella scuola ha inferto una grave ferita alla corresponsabilità educativa che, nonostante tutto, deve continuare ad essere esercitata dall’allenza tra genitori e docenti
Siamo sicuri che proprio un rapporto di fiducia reciproca con i docenti ed i dirigenti – spesso non consapevoli dei risvolti critici di molte iniziative a loro stessi proposte ma inclini a collaborare con le famiglie – sarà la carta vincente per affrontare i nodi cruciali dell’attuale sfida educativa.
A conclusione delle nostre riflessioni, ci torna alla mente la profezia di “Lettera ad una professoressa” della Scuola di Barbiana di Don Milani (1967).Il libro iniziava con queste parole: “Questo libro non è scritto per gli insegnanti, ma per i genitori. E’ un invito ad organizzarsi”
E 48 anni dopo?
Nella scuola ” ai tempi del gender”, sarà proprio questa la volta buona per …organizzarsi! Affinchè sia riconosciuto ai genitori quanto afferma l’ articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’ Uomo, e sia possibile dire che Scuola e famiglia devono lavorare “insieme per educare.”
Chiudiamo questo articolo aggiornandovi sul fatto che il Comitato “Difendiamo i nostri figli” ha realizzato un vademecum, che sottoscriviamo e consigliamo, all’interno del quale potete trovare “consigli operativi concreti per contrastare l’introduzione dell’ideologia gender nell’insegnamento scolastico”