In questi giorni ha destato molto clamore il progetto “Il Gioco del rispetto” che è destinato a coinvolgere le scuole dell’infanzia del Comune di Trieste.
Sono sempre più evidenti a tutti le conferme del fatto che un pensiero si è fatto strada all’interno delle nostre aule ed in particolar modo in quelle dei piccolissimi (vale a dire nella fascia 0-6 anni): secondo questo pensiero, maschile e femminile in fin dei conti sono dei preconcetti (“stereotipi”) che generano discriminazioni e vanno quindi abbattuti, mentre l'”indifferenziato” è bello, è rispettoso, è inclusivo (e per questo i bimbi sono guidati dalla “figura contro-stereotipica” dell’insegnante a “mettere in discussione il genere”, a “superare i ruoli sessuali tradizionali”, a travestirsi, …).
Questo pensiero (riconducibile alle istanze della teoria del gender) non ha però riscontro nella realtà (si può definire in questo senso un’allucinazione?), non ha un substrato di riscontri scientifici su cui poggiarsi (si può definire in questo senso un’ideologia?), non può vantare validazioni psicologico-pedagogiche che lo accrediterebbero a livello educativo e scolastico (si può definire in questo senso una sperimentazione o una colonizzazione?).
E quindi? Quindi niente, questo pensiero riceve sovvenzionamenti sia dall’Europa che a livello nazionale e chi chiede rassicurazioni (di ordine pedagogico, psicologico, scientifico, culturale, antropologico…) nella migliore delle ipotesi si accontenti che “forse se un bambino gioca con una bambola può imparare a fare meglio il papà”. Per questo consigliamo ai genitori di monitorare e di attivarsi, questo episodio dimostra che i risultati si possono ottenere: i genitori della materna hanno richiesto un coinvolgimento nelle decisioni in merito all’iniziativa e hanno ottenuto che degli undici giochi previsti dal pacchetto, nove ne venissero scartati e due effettivamente proposti ai bambini.
Per approfondire: questo articolo del Giornale delinea alcune schede di “gioco” del progetto, mentre riportiamo qui un estratto da “Vogliono il mondo di Frankenstein e usano i bambini” (nella foto un’immagine tratta da “Frankenstein junior” di Mel Brooks…)
Vogliono il mondo di Frankenstein e usano i bambini
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L’iniziativa è stata infiocchettata e confezionata culturalmente col solito accattivante buonismo, spirito umanitario e sdolcinato, e mira, secondo i suoi organizzatori, a “verificare le conoscenze e credenze di bambini e bambine su cosa significhi essere maschi e femmine; a rilevare la presenza di stereotipi di genere e attuare un primo intervento che permetta loro di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri, offrendo ai bambini anche un punto di vista alternativo rispetto a quello tradizionale”.
E come se non bastasse, è stato predisposto, preparato, un kit da distribuire agli istituti che aderiscono, con tanto di materiale di supporto, per facilitare la pratica pedagogica. Tra i suggerimenti, un po’ di attività fisica per far notare le sensazioni e le percezioni provate dai piccini. Lo scopo? Lo spiegano gli ideatori: “Rinforzare le sensazioni esplorando il proprio e altrui corpo, riconoscendo le differenze e nominando senza timore i genitali femminili e maschili”.
Dulcis, in fundo, la possibilità di travestimento per invertire i ruoli, preparandosi all’elasticità mentale. In fondo, chi può avere paura e timore di un gioco modello-Carnevale? Che insegna ad essere elastici, svegli, aperti, inclusivi?
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