Pubblichiamo il contributo di Pietro Gargiulo Dirigente Scolastico e Referente di Articolo 26 apparso su Orizzonte Scuola il 15 maggio 2020:
Tentiamo un minimo di scandaglio ad una profondità maggiore rispetto alle pur necessarie considerazioni sul “come e quanto fare la didattica a distanza”. Spunti per un dialogo e, per chi vorrà, un lavoro per guardare dentro e oltre l’attuale emergenza.
La pandemia ha messo una lente di ingrandimento sulla scuola. Portando la scuola nelle abitazioni private l’ha resa pubblica come non mai. I docenti sono entrati nelle famiglie degli studenti e viceversa. Con effetti a volte comici. Tutto, positività e limiti, è stato amplificato, fino a rendere necessario fare qualche passo indietro per vedere il quadro che si sta delineando.
In un certo senso la stessa Dad sta preparando un mercato. Un’altra e più pervasiva rivoluzione informatica è alle porte. Ciò che la fantascienza ha preannunciato si sta realizzando, a partire dalla scuola. Oggi la Dad si concretizza attraverso reti, piattaforme e capacità ancora molto limitate. Proviamo solo ad immaginare, con il prossimo salto tecnologico del 5G, la pressione che verrà esercitata su tutti noi per “scaricare e condividere”. In particolare, gli studenti potranno interagire con un mondo di conoscenza, attraverso modalità “immersive” e di “realtà aumentata”.
Sembra così realizzarsi l’ideale illuminista dell’enciclopedia. Che il sapere sia catalogabile, rintracciabile, liberamente attingibile da chiunque, in qualunque momento tramite la rete. Nei paesi poveri, ipotizzano le organizzazioni internazionali, in una sola generazione si potrebbe colmare il vuoto di istruzione endemico, che anni di campagne hanno appena scalfito.
Di fronte a queste possibilità alcuni avanzano l’ipotesi di universalizzare la Dad, renderla lo strumento principale, se non unico dell’istruzione: ottimizzazione dei costi, riduzione degli spostamenti, rimodulazione delle organizzazioni lavorative e degli orari.
Tralasciando qui gli aspetti contrattuali e tecnici, le resistenze di altri riguardano questioni fondamentali: educazione e istruzione non possono essere ridotte ad una comunicazione di conoscenza e, ultimamente, è risultato chiaro che sono dimensioni antropologiche, esistenziali, psicologiche della radice stessa della natura umana come natura relazionale, irriducibile a qualsiasi strumentalità. L’ideale illuminista, pure si realizzasse, sarebbe una fiaccola che brucia e non scalda.
Da dove ripartire, dunque? Primo: recuperando la distinzione fra realtà, senso e strumenti. Senza ripartire dalla realtà, senza un senso che dia valore e direzione all’agire, è quasi inevitabile cadere in una sorta di idolatria verso gli strumenti (con il suo rovescio di rifiuto assoluto e lamento querulomane).
Non ha mai smesso di essere attuale il paradosso platonico, che condanna l’alfabeto scrivendo, nel Fedro: “tu non offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti”. Qualsiasi strumento, foss’anche un libro, acquista il suo valore se e nella misura in cui risulta adeguato alla realtà dalla quale trae ragion d’essere e dal senso, dallo scopo verso cui quella realtà è direzionata.
Per poter ripartire dalla realtà bisogna rimettere al centro le domande radicali: cosa siano educazione, istruzione e formazione; quali siano il senso e lo scopo per il quale educare, istruire, formare; e, finalmente, quale debba essere la coscienza con la quale scegliere e utilizzare gli strumenti, senza idolatrarli né demonizzarli.
La realtà che la pandemia ha reso evidente è che lo Stato, la politica, le norme, seguono – e non precedono – l’educare, l’istruire. Volenti o nolenti la prima e fondamentale realtà educativa è e sarà sempre la famiglia. Come nessuna madre attenderebbe un dpcm per allattare il figlio; come nessun padre attenderebbe un dpcm per insegnare al figlio come fare la barba; così madri e padri hanno cercato – e docenti ed educatori hanno offerto – e, insieme, rinsaldato l’alleanza educativa in questo momento assolutamente eccezionale.
La realtà che la politica e il sentire comune devono recuperare e reinventare è la scuola “comunità naturale” intermedia. Scuola: insieme dei rapporti sussidiari che le famiglie, gli educatori, i docenti, i dirigenti liberamente scelgono per educare e istruire le nuove generazioni. La più grande responsabilità che gli adulti hanno, sempre e comunque.
C’è un test che possiamo fare per aiutarci a pensare il rientro: quel che la scuola ha fatto e il modo con cui l’ha fatto fino al giorno della chiusura è utile per sostenere alunni e famiglie in questo momento? E’ stato come un seme che si può riprendere per aiutare noi e i ragazzi? Abbiamo avuto una modalità di rapporto, nel veicolare i contenuti, che ora ci permette, anche attraverso uno schermo, di parlare agli studenti sapendo che molti genitori sono appena fuori dall’inquadratura? Riuscivamo a mantenere la giusta distanza in presenza? Senza essere mai troppo vicini e al tempo stesso senza essere lontanissimi pur fra le stesse quattro mura? Oggi, la distanza non va né esaltata né condannata, è una condizione. Oggi, possiamo abbracciare la distanza.
Il moto della storia è dato dalla novità che porta ogni generazione. La responsabilità degli adulti è servire ciò che nasce e farlo crescere. Che spettacolo indegno dover lottare con la politica anche per le cose più ovvie, sicurezza e gessetti colorati. Qui ricordiamo solo la più urgente emergenza educativa in questi giorni surreali: non lasciare chiudere le scuole paritarie e mettere in ancor più difficoltà le statali!
I ragazzi che si collegano e partecipano tramite la Dad e, forse, anche più quelli spariti dagli schermi, stanno dicendo che hanno bisogno di essere accompagnati. Ora è il tempo propizio per ripensare in toto la scuola! Indipendentemente dagli strumenti che abbiamo e avremo a disposizione.
I ragazzi hanno bisogno che qualcuno gli ridica “sapere aude!”.
Non spingendoli a una falsa emancipazione in una solitudine “illuminata”, esito della rilettura kantiana, ma dal di dentro di un rapporto educativo fra l’amico/maestro Orazio e l’amico/discepolo Massimo. Ognuno sostituisca il proprio nome.
Da qui si può ripartire.