Quinta uscita della rubrica DIARIO DI BORDO che vuole essere uno spazio di esperienze e riflessioni su come famiglia e scuola si incontrano/confrontano in questo tempo. Oggi vi proponiamo la riflessione di un papà e docente della Lombardia amico di Articolo 26.
Di G.R.C.
“Viviamo in un’epoca in cui si è titolati a vivere solo se perfetti. Ogni insufficienza, ogni debolezza, ogni fragilità sembra bandita. Ma c’è un altro modo per mettersi in salvo, ed è costruire, come te, Giacomo, un’altra terra, fecondissima, la terra di coloro che sanno essere fragili.”
Parole, queste, che campeggiano in primo piano sul retro della copertina del libro di Alessandro D’Avenia, “L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita”, parole forse poco comprese dal sottoscritto nel corso della lettura del volume, ma che oggi appaiono in tutta la loro portata e fecondità generatrice di un modo nuovo di intendere e interpretare il mio essere e sentirmi docente.
Ci siamo riscoperti improvvisamente fragili, deboli, alla mercé di un qualcosa di piccolo, invisibile, ma altrettanto forte e devastante, in altre parole ci siamo trovati a vivere una condizione simile a quella in cui versano molti dei nostri alunni, piccoli eroi al tempo del Covid-19.
Sindrome dello spettro autistico, sindrome feto-alcolica, sindrome di down, sindrome di hikikomori, disturbo del linguaggio, ritardo cognitivo … parole, diagnosi spesso vissute e usate come categorie giudicanti che chiudono il cuore e la mente, al punto da condurci, nostro malgrado, allo scoramento e a dire “è impossibile!”.
Eppure, dietro queste parole, si nasconde lo sguardo, a volte imbronciato e triste, ma di una tristezza e di una imbronciatura sempre aperta al sorriso, di tanti ragazzi, che chiedono semplicemente di essere guardati nella loro e nostra fragilità. La mente non può allora che andare a loro, ai vari Giovanni, Maria, Anna, Luca (nomi di fantasia per il rispetto della privacy) … che solitamente occupano i banchi delle nostre classi e che oggi, relegati dietro uno schermo, ci chiedono con ancor più forza e convinzione, di essere presenti per e con loro. Piccole storie di una “scuola speciale”, episodi, circostanze, mancati riscontri dei lavori inviati, appuntamenti in video chiamata andati in fumo per dimenticanza, incomprensione o problemi tecnici… e una grande voglia di essere protagonisti insieme.
Accade così che, il breve momento di saluto in videochiamata per le Vacanze di Pasqua, diventi l’occasione per cimentarsi nella produzione di invitanti pastiere napoletane d’hoc, un flash mob con le “bolle di sapone” proposto in rete, l’occasione per un video da condividere con i propri compagni, un’ora di collegamento in piattaforma, l’occasione per vedere un film in “compagnia” e perché no, per fare un momento di merenda insieme e cimentarsi ai fornelli con mamma e papà, sfornando gustose brioche al cioccolato.
E allora la realtà si capovolge e siamo noi, adulti, ad uscirne arricchiti in umanità, al punto da recuperare e riscoprire quell’entusiasmo e quella passione educativa, magari un po’ sopita dalla burocrazia e da quel “scolastichese” perfetto che spesso attanaglia le nostre giornate e uccide la scuola nella sua essenza, e riscoprirsi così capaci di contagiare e farsi contagiare dai colleghi, compresi quelli con cui si è soliti discutere accanitamente durante i consigli di classe o i collegi docenti e con i quali non si intrattengono rapporti “idilliaci”. Ci si riscopre così, capaci di imparare, di mettersi in gioco, di essere creativi e disponibili a collaborare con gli altri, noi spesso rinchiusi nell’ambito de “la mia materia” o de “la mia classe”, al punto da riuscire a costruire relazioni significative con i genitori, spesso guardati con sospetto e istintiva “inimicizia”.
Accade così che, il lavoro intrapreso sulla lettura e la narrazione di Pinocchio, diventi lo spunto per coinvolgere quasi un intero corpo docenti nella realizzazione e registrazione di video e audio racconti da inviare settimanalmente, attraverso i canali più disparati, ai propri studenti, una telefonata , un momento di confronto col collega per progettare e costruire momenti di convivialità a “distanza”, perché i ragazzi hanno bisogno di non sentirsi soli e abbandonati nella loro fragilità, una video chiamata, occasione di collaborazione con i genitori nell’individuare e selezionare materiale didattico in rete e nel creare tutorial per poter permettere a tutti, anche a quelle realtà maggiormente svantaggiate per evidenti fragilità di natura economica, culturale, linguistica e tecnologica, di accedere alla piattaforma per la didattica a distanza.
Tutto questo ci ha resi più umani, più empatici e, proprio per questo, più forti e capaci di “costruire, come te, Giacomo, un’altra terra, fecondissima, la terra di coloro che sanno essere fragili.”