Il Prof Alessandro D’Avenia si sofferma (link) sul meccanismo della ricompensa a breve termine, talvolta mediata dai meccanismi dei social, che condiziona gli adolescenti. E condiziona tutti quanti senza eccezioni, aggiungeremmo noi, depotenziando la ricerca di un appagamento più reale e concreto, che pone le radici di qualcosa che dà frutto a lungo termine.
Da notare come concetti analoghi siano espressi anche in un filmato molto interessante, di cui consigliamo la visione (video qui in basso), in cui Simon Sinek illlustra alcune dinamiche tipiche del mondo dei millenials oggi adolescenti.
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Lo sviluppo adolescenziale, ci dice la scienza, si basa su due sistemi che traghettano il giovane nell’età adulta. Il primo privilegia la parte emotiva, strettamente connessa ai cambiamenti della pubertà, ed è guidata da un’ubriacante ricerca della ricompensa. I centri neurali della gratificazione sono molto più attivi che in qualsiasi altra tappa della vita, per questo sono così forti i primi amori, i primi libri, i primi viaggi, i primi lutti… e si fissano indelebilmente nella memoria. L’adolescente cerca la ricompensa come conferma del suo essere unico al mondo e la trova soprattutto nel consenso dei coetanei, non più (in apparenza) nei genitori. È un nuovo venire alla luce accompagnato da un nuovo pianto, che questa volta non verrà calmato dal latte materno, ma dall’approvazione dei propri pari. I rischi che gli adolescenti amano correre sono dettati dalla ricerca di ricompensa sociale, non si ubriacano perché piace loro l’alcol, ma perché qualcuno li sta guardando bere. Ricordo la mia prima sigaretta a 13 anni, fumata per darmi un tono nel gruppo: quel giorno iniziai a fumare e, quasi soffocando, quel giorno smisi. Sono comportamenti tutt’altro che irrazionali, perché è esattamente ciò di cui un adolescente ha bisogno per affermarsi e scoprire, ora con dolore e ora con gioia, che le proprie azioni hanno delle conseguenze reali. Per questo è molto importante che gli educatori sappiano ricompensare gli adolescenti, per esempio essendo meno avari di complimenti: dire più spesso a un figlio “sono fortunato ad averti” o a uno studente “sono fiero di te” ha effetti sorprendenti.
A questo sistema si affianca il secondo, più lento e graduale a strutturarsi, che cerca il controllo e incanala l’energia esplosiva. Questo sistema inibisce la dispersione, struttura la capacità di pianificare, porta l’adolescente a diventare stabile e meno in balia della ricompensa immediata. Il ragazzo sperimenta così il gusto di essere padrone di se stesso, perché la gratificazione immediata è spesso fuggevole e alla lunga imprigiona, invece quella derivante da progetti impegnativi e a lunga scadenza è duratura e liberante. È la sottile, ma sostanziale, differenza che passa tra piacere e felicità. La dopamina, neurotrasmettitore della ricompensa che deriva dal piacere immediato, viene rilasciata, ad esempio, quando riceviamo un like o un messaggio, o quando facciamo shopping. Non a caso consultiamo più spesso i social e compriamo in modo compulsivo quando siamo tristi: aumentano il battito cardiaco e la pressione, ci sentiamo vivi. La serotonina invece è il neurotrasmettitore dell’appagamento: la felicità, a differenza del piacere, è rilassante e duratura. La gioia del compimento di un lavoro impegnativo, di un amore fedele, di un’amicizia salda: è così che siamo vivi davvero, perché si tratta di una condizione interiore stabile e non di un’emozione fugace. La ricerca del piacere immediato riempie sì il cervello di dopamina, ma di volta in volta si riduce il godimento e ne diventiamo così dipendenti. Le adolescenze prolungate non sviluppano il secondo sistema, più centrato sul dare, ma rimangono ancorate a quello della ricompensa rapida, centrato sul prendere.
Non basta lasciare i ragazzi liberi di fare esperienza, perché cercheranno soprattutto quelle orizzontali, di immediata soddisfazione. Occorre offrire loro gratificazioni a lungo termine, frutto di impegno personale, per assaporare la pienezza della libertà come padronanza di sé ed esercizio di scelta. Il letto da rifare oggi riguarda le esperienze verticali che aiutano un ragazzo a diventare adulto. Quali sono? Quelle che io definisco da “bottega”, perché richiedono disciplina e cura del gesto ripetuto. Attraverso questo tipo di esperienze si struttura la padronanza di sé: fortezza, lealtà, affidabilità, sincerità, intraprendenza, generosità… Sono esperienze nelle quali l’adolescente si afferma sperimentando le conseguenze reali delle sue azioni, senza controllo genitoriale: uno sport praticato con continuità, ancora meglio se di squadra; l’esercizio disciplinato delle emozioni sviluppato suonando uno strumento; i laboratori d’arte e artigianato, i gruppi di teatro e di lettura; tutto l’ambito del volontariato (dal doposcuola per bambini in difficoltà al servizio in una mensa); i lavori temporanei per guadagnare qualcosa. Non dimenticherò mai le tre settimane passate a fare il muratore, finito il quarto anno di superiori, per raccogliere il denaro per una vacanza-studio (i miei mi dissero: “metà la metti tu”), o il campo di assistenza in un paesino albanese subito dopo la caduta del regime comunista. Aiutavamo a costruire una scuola, davamo una mano nell’ambulatorio provvisorio, ci dedicavamo a educare i bambini. Grazie a queste esperienze capii che le mie azioni avevano un impatto reale e costruttivo sul mondo. E ne ero felice, nonostante la fatica.
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