di Gualtiero Raimondi Cominesi
Il rapporto tra prova Invalsi e fragilità è uno dei numerosi aspetti che ruotano attorno al tema dell’inclusione scolastica, tanto più attuale vista la recente ricorrenza del 21 marzo. Questo è infatti il giorno in cui si celebra il World Down Syndrome Day per dare voce alle persone con sindrome di Down, favorire la loro piena inclusione sociale e promuovere un cambio di paradigma nell’approccio culturale verso il mondo della disabilità.
Per poter avere un quadro generale della situazione occorre considerare la Nota che, annualmente, viene pubblicata da Invalsi. In essa sono riferite le modalità che, per gli alunni con disabilità e con diagnosi di DSA, corrispondono a quanto previsto dall’art. 11 e dall’art. 20 del decreto legislativo 62/2017, mentre per gli altri alunni le indicazioni possono variare da un anno all’altro. Senza voler entrare nello specifico della Nota (si rimanda a questo proposito alla lettura della nota al link https://wordpress.istruzionebelluno.it/sito/wp-content/uploads/2022/02/Tabella_BES_2022.pdf), una considerazione risulta evidente: la “scuola dell’inclusione” è ancora ben distante dall’essere tale nella realtà.
Basterebbe, a questo proposito, fare riferimento a quanto previsto nella nota stessa per gli alunni con disabilità frequentanti la scuola secondaria di primo grado. Si legge, infatti: “Il Consiglio di classe predispone autonomamente una prova in base alle esigenze dello studente. In questo caso non è previsto il rilascio della certificazione da parte dell’INVALSI”.
In altre parole, se da una parte è prevista per il nostro alunno la possibilità di svolgere una prova “in base alle esigenze dello studente”, dall’altra, una volta svolta la prova, contrariamente a quanto avviene per i suoi compagni di classe non gli viene riconosciuta la certificazione delle competenze da parte di INVALSI.
Risultato: le numerose segnalazioni da parte dei genitori e di qualche singolo docente circa la consuetudine, in molti casi diventata norma e prassi acquisita, di “esonerare” gli studenti con disabilità dalle “prove INVALSI del mese di aprile” (come si legge in alcune circolari).
La sensazione, a questo punto, è che si debba operare in due direzioni. Da una parte superare il valore meramente statistico della prova nazionale e rendere Invalsi una esperienza di inclusione. Dall’altra, similmente a quanto avviene per le prove d’esame differenziate previste a conclusione del primo ciclo d’istruzione (Art. 14 del decreto ministeriale 741/2017), rendere “equivalenti” le stesse prove INVALSI predisposte dai consigli di classe, riconoscendo di conseguenza al nostro alunno il relativo certificato delle competenze.
Fin tanto che le alternative estreme saranno tra il “non partecipare” e il “partecipare, ma tanto non conta“, saremo sempre davanti a un qualcosa che crea discriminazione e non inclusione.