Sul quotidiano “La Stampa”, organo di informazione che possiamo definire “mainstream”, sono state riportate le parole dette da Paola Cortellesi, che in queste settimane si sta godendo il successo di pubblico e di critica del suo film “C’è, ancora domani”, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico della Luiss. La Cortellesi ha utilizzato questa occasione per denunziare il presunto carattere maschilista che avrebbero le fiabe più celebri, quelle che hanno cresciuto nei decenni intere generazioni.
Abbiamo reputato interessanti le valutazioni che il noto psicologo Alberto Pellai ha proposto sulla suo profilo facebook,in merito a questo argomento e le facciamo nostre insieme ad alcune considerazioni che reputiamo di buon senso che sono scaturite in questi giorni.
[…] Nelle fiabe non c’è l’ansia di rappresentare i ruoli di genere, ma la messa in scena di paure ancestrali che abitano quello spazio che Freud definiva inconscio e che – anche in una visione non psicodinamica della mente – potremmo chiamare interiorità, cosa che riguarda tutti fin dalla più tenere età. C’è la lotta del bene contro il male con il lieto fine che non rende la donna oggetto dell’uomo, ma rassicura il bambino che il bene vince sul male.
Bambini e bambine sono divenuti uomini e donne e non hanno dato vita, come sarebbe lecito aspettarsi se fosse vero che le fiabe incriminate avessero avuto determinati contorni, ad una società orribile, anzi. Al contrario iniziamo tutti a sentire “a pelle” che forse è quella odierna la società che presenta caratteri che possiamo definire inquietanti, con la smania di “cancel culture” che la contraddistingue.
Se ci si preoccupasse con la stessa attenzione e con la medesima veemenza dialettica con cui si parla del genere a cui appartiene Biancaneve o dell’ingiustizia derivata dalla mascolinità dell’eroe che la salva del fatto che oggi i bambini spesso ascoltano musica che “sa” di criminalità ed elevano a propri idoli personaggi tutt’altro che esemplare, spesso nel completo disinteresse sia delle istituzioni che delle famiglie, forse, anzi sicuramente, si farebbe un passo in avanti.
[…] Oggi c’è questa tendenza a decostruire, a scegliere un particolare (la scarpetta) funzionale a confermare una tesi (la donna oggetto invece che la donna soggetto). Nel non risconoscere Cenerentola attraverso il volto, Cortellesi avrebbe potuto usare il tema della lotta di classe, della vita che toglie gli attributi a chi lavora duramente per garantire i privilegi di chi del lavoro degli altri se ne approfitta. Cenerentola si chiama così perché è sempre coperta di polvere, il suo viso è intriso di cenere, che la sporca e rende irriconoscibile. Credo però che anche se avesse parlato di questo, sarebbe stato un errore. Perché avrebbe significato interpretare una fiaba con l’ideologia che scegliamo oggi per darne un’interpretazione funzionale ad un nostro obiettivo culturale. Non credo che sia questo il lavoro da fare oggi su testi datati che usano linguaggi e immagini che vanno riferiti ad un tempo che oggi non c’è più.
Lasciare alle fiabe la magia di cui sono portatrici e i valori che intendono insegnare, senza mettere anche loro sui binari del politicamente corretto, che, specialmente se portato, come alcuni ambienti vorrebbero, alle estreme conseguenze, finirebbe per snaturarle e trasformarle nell’ennesimo manifesto ideologico, è la strada che sarebbe naturale percorrere.
I bambini meritano di restare incantati dal mistero, quello positivo, quello inebriato di amore autentico, affetto e generosità, come lo siamo stati noi e quelli che c’erano prima di noi, che si identificavano, spesso per darsi forza e affrontare una quotidianità magari difficile, nel re o nella regina di turno, oppure nell’eroe che risolve la situazione.
Identificarsi in qualcosa dà speranza, ed è proprio per questo che i bambini e i giovani spesso la speranza non ce l’hanno, perché è stata edificata una società priva di identità, nella quale tutto può essere tutto ma, proprio per non rinunciare a questa possibilità, finisce per non essere niente.
Giù le mani dalle fiabe, giù le mani dai sogni dei bambini.