“Liberi liberi, però liberi da che cosa”? La sfida odierna dell’educazione alla sessualità

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Nel marzo del 2017, Articolo 26 ha contribuito alla promozione del tour di Therese Hargot in Italia. La sessuologa belga veniva a presentare la versione italiana di un interessante libro sul tema della sessualità, portando la sua esperienza di insegnante in diversi quartieri della Parigi “bene”, nell’affrontare lo spaseamento dei giovani rispetto al pur pubblicizzatissimo tema del sesso: si tratta di una delle sfide educative odierne più delicate, dato che spesso abbiamo avuto modo di notare che la “liberazione sessuale” degli ultimi 50 anni non abbia poi fatto scaturire quella felicità e quel progresso che aveva promesso.

A onor del vero, la liberazione sessuale più efficace sembra essere stata a favore del conto in banca di chi si arricchisce con l’industria del sesso (un indotto di 5 miliardi di dollari), mentre pare abbia avuto pochi effetti positivi per le nuove generazioni, che si devono confrontare con situazioni di dipendenza. con livelli di violenza sempre più alti e con fenomeni come quelli del sexting e della pornografia dilagante: sono argomenti che a nostro parere non è più possibile tenere sotto il tappeto, facendo finta che non si tratti di emergenze vere e proprie, da affrontare con urgenza per il bene dei più giovani.

Di tutto questo, con una straordinaria linea di continuità con i ragionamenti che conduciamo come associazione, ci parla il prof 2.0 D’Avenia dalle pagine del CdS.

di Alessandro D’Avenia – A quale prezzo? link

Ma a quale prezzo? La dipendenza blocca l’immaginario sessuale a uno stadio immaturo e violento. Secondo gli studi: i ragazzi che consumano abitualmente pornografia subiscono una destrutturazione della visione del femminile, abituandosi all’idea di dominare e sottomettere la donna; le ragazze invece maturano una maggiore propensione ad assumere il ruolo di vittima o di oggetto da possedere (che nelle dinamiche psicologiche delle adolescenti, già fragili e ansiose di ottenere l’attenzione dell’altro sesso, può trasformarsi nell’unico modo per essere desiderate). In questa proiezione fantastica del sesso si perde lo spazio per accogliere, il copione erotico da eseguire blocca la creatività della tenerezza. Molte adolescenti raccontano che il primo rapporto sessuale, loro malgrado, è stato violento, e questo perché i maschi cercano di imitare ciò che hanno guardato. Molti rimangono delusi dalla realtà perché i corpi porno-grafici proiettano nella fantasia rapporti iperbolici e irreali, fino a far diminuire il desiderio erotico. La pornografia elimina il mistero e la scoperta necessari all’eros, il corpo non è più soglia da rispettare e parola da ascoltare ma oggetto da consumare. I corpi, nella vita vera, non sono perfetti e inesauribili, spesso di fronte all’altro siamo impacciati, fragili, timidi, qualità che nell’adolescenza magari detestiamo, ma che invece sono essenziali perché l’amore sia ciò che cerchiamo: accogliere ed essere accolti nella propria fragile nudità, amare ed essere amati così come siamo, non come dovremmo essere. La parola sesso viene infatti dal latino secare, tagliare, a indicare il taglio profondo tra il maschile e il femminile, ricucito proprio dalla forza tenera dell’abbraccio totale (amplesso significa questo). In questo senso nella pornografia non c’è troppo sesso, ce n’é troppo poco.

Per la Hargot la rivoluzione sessuale ha cambiato solo apparentemente il rapporto con il sesso. La diversificazione e moltiplicazione precoce delle esperienze sessuali ha aumentato e anticipato le domande, ma gli interrogativi restano gli stessi di prima: comprendere il senso della corporeità e delle relazioni. I ragazzi infatti le chiedono: che cosa significa fare questo? Questo si può fare o è pericoloso? É normale fare questo? Sperimentano prima di sapere cosa significhi ciò che fanno, perché l’imperativo è provare e consumare. La liberazione dai tabù, dice l’autrice, è apparente, perché è subentrato un altro comandamento: «fare bene», avere una buona performance. Il tabù superato è meramente funzionale (conoscenza di oggetti e pratiche), non sostanziale, anzi ci si è sottomessi alla logica del consumo: i ragazzi non scoprono il sesso ma lo subiscono da un immaginario adulto, che ha come scopo vendere. Il porno online, a disposizione gratuitamente in qualsiasi momento, è un Paese dei Balocchi dal risveglio amaro. Si potrebbe obiettare che in fondo è il modo di assecondare gli istinti sessuali e conoscere il corpo, ma qualsiasi educatore sa che l’ultima cosa da fare per educare è soddisfare i desideri anarchici del bambino e dell’adolescente, e non per devozione a regole ed etichette, ma semplicemente perché il desiderio senza limiti e non guidato dalla ragione è (auto-)distruttivo: nessuno dà del whisky a un bambino perché gli piace il colore o a un adolescente perché è triste.

Il consumismo ha un unico comandamento e dovere, godere, ma ha bisogno di farci dimenticare che il piacere è l’accompagnamento sensibile, l’eco emotiva, di qualcosa la cui profondità è altrove. Se non c’è profondità nella comunione di vite, e questo richiede tempo e impegno, il piacere diminuisce, e allora si cerca rimedio aumentando la quantità delle performance o potenziando la performance stessa, come accade in tutte le dipendenze. Il porno impone alla persona immatura di essere all’altezza, e molte disfunzioni sessuali dipendono proprio dall’ansia da prestazione: i «sono stato bravo?» diventano più numerosi dei «ti amo». La prestazione è conformismo a modelli iperbolici e immaginari, anziché scoperta e tenera accettazione dell’unicità e fragilità dell’altro. Il sesso mostra come amiamo: crea, inventa, scopre, stando in ascolto del corpo altrui, la parola più vera e nuda che l’altro ha da dirci e darci. Il porno invece destruttura la capacità di ascolto dei sensi, sostituisce all’amore, che è creativo perché ricettivo, il possesso, la performance, il consumo. Il porno blocca l’immaginazione su corpi incongruenti con la quotidianità e i limiti umani: in sostanza insegna il dongiovannismo seriale, che avvelena il desiderio, anziché la pazienza e la tenerezza dell’eros, che alimenta l’amore.

Se i ragazzini guardano i porno nelle ore scolastiche è perché lo stesso accade in molti luoghi di lavoro. La sfida educativa è come sempre lanciata a noi attraverso lo specchio che i ragazzi ci reggono. La diffusione della porno-dipendenza interroga il nostro stile di vita, l’obbligo consumistico del corpo femminile, la mancanza di una tempestiva educazione familiare sul significato di una relazione, un corpo, un gesto. Ogni tanto chiedo ai ragazzi di spiegarmi la differenza tra carezza, abbraccio, bacio sulla guancia o sulle labbra, e non riescono: spesso è tutto indifferenziato. Invece sanno spiegare in dettaglio cosa è il bondage o il sexting. Il letto da rifare oggi è difendere i bambini con gli strumenti di navigazione protetta ed educare i giovanissimi al significato dei gesti che accolgono e rispettano il corpo proprio e altrui, prima che la violenza del porno renda, persino una carezza, un reperto archeologico.

Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Le evidenze in neretto sono state inserite da noi.

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