Con l’inizio di settembre la VII Commissione della Camera dei Deputati (la Commissione che si occupa di Cultura, Scienza e Istruzione) ha iniziato la discussione su 8 progetti di legge che riguardano l’introduzione dell’Educazione di Genere nel Sistema d’Istruzione Italiano. Articolo 26 ha inviato alla Commissione il suo contributo che qui è visualizzabile in pdf e che riportiamo anche di seguito in questa pagina.
PREMESSA
L’associazione Comitato Articolo 26, apartitica e aconfessionale, è composta da genitori e docenti con la collaborazione di specialisti dell’educazione. Riunisce e mette in rete un numero crescente di comitati di genitori ed educatori in tutta Italia e si impegna a sostenere il primato educativo delle famiglie, riconosciuto dall’art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che afferma: “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”, perseguendo nel contempo una reale partecipazione dei genitori nella scuola e un’efficace continuità educativa tra scuola e famiglia.
Insieme ad altre associazioni di genitori insegnanti e famiglie, costituiamo “un coordinamento in rete” con il Comitato Difendiamo i Nostri Figli, che ha promosso gli ultimi due Family Day e rappresenta più di un milione di italiani, raccogliendo l’istanza di partecipazione democratica di questi genitori alla vita della scuola, per il raggiungimento della migliore qualità del servizio e il respingimento di qualsiasi ideologia che possa turbare il libero e competente esercizio del processo educativo di bambini e adolescenti.
La proposta di un’educazione affettiva e sessuale nella scuola pubblica chiama inequivocabilmente in causa la delicatissima questione della libertà di scelta educativa dei genitori, la quale a sua volta si collega a quella altrettanto fondamentale del pluralismo culturale e della vita democratica del nostro paese.
Nell’educazione affettiva e sessuale vanno rispettate le differenze culturali ed educative, che interpretano e concretizzano i valori fondamentali della vita. Ne consegue che i genitori, primi responsabili dei figli, debbano essere coinvolti nelle attività e che ne debba essere richiesto il consenso preventivo.
RILIEVI CRITICI SULLE PROPOSTE DI LEGGE IN DISCUSSIONE E PROPOSTE CORRETTIVE
Esclusione dei genitori dalle scelte educative della scuola
Nei vari disegni di legge si escludono i genitori dalle scelte della scuola e dell’amministrazione, attribuendo a quest’ultima e alla politica tutti i poteri educativi,
- contraddicendo l’art. 33 della Costituzione secondo cui “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”;
- censurando la Raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, secondo la quale “le misure dirette a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o l’identità di genere dovrebbero tenere conto del diritto dei genitori di curare l’educazione dei propri figli”;
- ignorando la stessa Convenzione di Istanbul (art. 17, comma 2), che non dimentica i genitori, ma ne promuove “la capacità di affrontare un contesto dell’informazione e della comunicazione che permette l’accesso a contenuti degradanti, potenzialmente nocivi a carattere sessuale o violento”.
Nel solo A.C. 1944 si assicura il coinvolgimento delle famiglie degli studenti. In altri disegni di legge presentati non vi è garanzia del pluralismo scientifico e pedagogico esistente sugli argomenti sensibili e controversi in ordine all’educazione affettiva e sessuale.
Solamente l’A.C. 1230 (artt. 1 e 2) e l’A.C. 1944 affermano che “i contenuti e le modalità di insegnamento devono essere adeguati all’età degli studenti e al loro diverso grado di maturità psico-fisica e devono tener conto delle diverse posizioni sull’argomento”.
Mancato rispetto dell’autonomia scolastica
Mentre dovrebbe essere valorizzata l’autonomia delle scuole, intese come comunità dove collaborano la libertà educativa delle famiglie, la libertà di insegnamento dei docenti e il diritto all’apprendimento dei ragazzi (legge 59/97, art. 21, comma 9), nella maggioranza dei ddl traspare il ritorno di un centralismo statalista, impositivo nei riguardi delle comunità scolastiche in ordine a insegnamenti, orari e organico.
Si condivide quanto l’A.C. 1230 (artt. 1 e 2) e l’A.C. 1944 (artt. 1 e 2) prevedono per l’insegnamento dell’educazione di genere, che non costituisce materia curricolare a se stante, ma deve essere parte integrante delle attività didattiche già previste: attività che, essendo di pertinenza della scuola, non possono non prevedere il consenso informato dei genitori.
Si fa presente che l’art. 1, comma 5 della L. 107/2015 ha previsto l’istituzione dell’organico dell’autonomia costituito, in base al comma 63, da posti comuni, posti di sostegno e posti per il potenziamento, funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche. Il comma 14 ha previsto che il Piano Triennale dell’Offerta Formativa redatto da ogni scuola indichi il fabbisogno dei posti comuni, di sostegno e dell’organico dell’autonomia.
Quanto previsto dalla legge 107 confligge con quanto proposto dall’A.C. 3022 (art. 1) e dall’A.C. 2585 (artt. 1 e 2), che dispongono di adottare i provvedimenti necessari per integrare i curricoli scolastici delle scuole di ogni ordine e grado.
I genitori propongono che le attività di educazione affettiva debbano essere inserite nei Piani dell’Offerta Formativa delle scuole di ogni ordine e grado, definiti con la partecipazione effettiva dei genitori e degli studenti, come previsto dalla legge 107/ 2015.
Infatti, il perno del POF (divenuto triennale a seguito della L. 107/2015) è il curricolo, per la cui definizione l’art. 8 del DPR 275/1999 ha previsto una quota nazionale obbligatoria e una quota riservata alle istituzioni scolastiche.
La quota nazionale obbligatoria, riservata alla realizzazione del nucleo fondamentale dei piani di studio, omogeneo su base nazionale, è fissata nell’80% del monte ore annuale.
La quota riservata alle singole istituzioni scolastiche, e da esse determinata nell’ambito degli indirizzi definiti dalle regioni, è costituita dal restante 20%.
Tale quota del 20% del curricolo che lo Stato lascia alla discrezionalità delle scuole, in base all’art. 8, comma 4, Capo III del DPR 275/99, deve essere fissata a monte “tenendo conto delle esigenze e delle attese espresse dalle famiglie” e tenendo conto dei principi dell’autonomia scolastica, che è espressione a un tempo della “libertà di insegnamento dei docenti, della libertà di scelta educativa delle famiglie e del diritto all’apprendimento degli allievi” (legge 59/97, art. 21, comma 9). Ne consegue che spazi di autonomia vi siano e vadano rispettati senza prevaricazioni centralistiche dell’amministrazione.
Al contrario:
l’A.C. 2667 (artt. 1, 2 e 4) prevede che le scuole di ogni ordine e grado promuovano, in orario curricolare, appositi programmi di educazione alla sessualità consapevole – finalizzati a garantire agli studenti, fra l’altro, un’adeguata conoscenza dei metodi contraccettivi e della prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili – e incentivino la diffusione, in orario extracurricolare, di corsi e incontri sul tema delle discriminazioni fondate sul genere e sull’orientamento sessuale;
l’A.C. 2783 prevede l’insegnamento presso le scuole secondarie di primo e di secondo grado dell’educazione socio-affettiva (art. 1). In particolare, da un lato l’art. 2 stabilisce che lo studio dei temi ad essa afferenti costituisca parte integrante degli orientamenti educativi, dei programmi didattici e delle materie di insegnamento – riguardando gli aspetti scientifici, storici e culturali della sessualità – e l’art. 3 stabilisce che, all’inizio dell’anno scolastico, il collegio dei docenti, d’intesa con il Consiglio d’Istituto, predisponga e approvi un progetto per l’inserimento dell’educazione socio-affettiva nella programmazione didattica complessiva. Dall’altro, l’art. 4, comma 2, e l’art. 5 dispongono che, “a partire dall’a.s. 2015/2016“, all’insegnamento dell’educazione socio-affettiva siano preposti i (soli) docenti di scienze e che ad esso siano dedicate almeno due ore al mese.
Ampliamento dell’orario settimanale
I genitori sono contrari all’ampliamento degli orari obbligatori di lezione, già eccessivi e pesanti per la vita scolastica dei figli. Chiedono che la quota obbligatoria sia ridotta all’essenziale, con possibilità di attività opzionali e facoltative in modo da “personalizzare” i percorsi alle effettive esigenze dei ragazzi.
L’A.C. 1510 (artt. 1 e 2) prevede, invece, l’introduzione nelle scuole del primo e del secondo ciclo dell’insegnamento dell’educazione sentimentale; l’orario settimanale è aumentato di un’ora e anche gli organici sono aumentati.
Esclusione delle associazioni dei genitori e dei rappresentanti di genitori e studenti
Nella Commissione tecnica per l’elaborazione delle “linee guida per l’educazione affettiva” e per monitorarne l’attuazione si deve prevedere la partecipazione delle associazioni dei genitori maggiormente rappresentative.
Al contrario:
l’A.C. 2667 (art. 3) prevede che la commissione tecnica sia composta da 7 funzionari di livello dirigenziale, di cui 2 del MIUR, 2 del Dipartimento per le Pari Opportunità e 3 dell’UNAR, e da 3 esperti in educazione sessuale.
l’A.C. 3423 (art. 3) prevede che il comitato tecnico-scientifico sia composto da rappresentanti delle associazioni dei docenti e dell’Ordine Nazionale degli Psicologi.
In nessun disegno di legge si rispetta la competenza dei rappresentanti dei genitori e degli studenti per partecipare nei consigli di classe all’adozione dei libri di testo.
Si dispone solamente che le scuole possano adottare esclusivamente libri di testo e materiali didattici corredati da autodichiarazione della casa editrice che attesti il rispetto delle indicazioni contenute nel codice di autoregolamentazione PO.LI.TE.
I genitori chiedono che in riferimento ai libri si riporti la normativa riguardante la competenza dei rappresentanti dei genitori e degli studenti per partecipare nei consigli di classe all’adozione dei libri di testo (D.Lgs 297/94 art. 15 e art.7, comma e). Non è ammissibile che si impongano libri ai ragazzi senza l’accordo con i genitori.
Infatti la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia sancisce all’art. 14 che:
“1. Gli Stati parti devono rispettare il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
- Gli Stati parti devono rispettare il diritto e il dovere dei genitori o alla occorrenza, dei tutori, di guidare il fanciullo nell’esercizio del diritto sopramenzionato in modo consono alle sue capacità evolutive.
- La libertà di manifestare la propria religione o le proprie convinzioni può essere sottoposta solo a quelle limitazioni di legge necessarie a proteggere l’ordine pubblico, la sicurezza, la salute e la moralità pubblica, e le libertà ed i diritti fondamentali altrui”.
IL CONTESTO CRITICO: LE ESPERIENZE NELLE SCUOLE ITALIANE
In questi anni abbiamo ricevuto – attraverso l’“osservatorio sul gender” costituito in collaborazione con il Comitato DNF – segnalazioni da tutta Italia da parte di genitori che si sono trovati di fronte a progetti educativi promossi da associazioni LGBT o del femminismo radicale, riconducibili alla cosiddetta “ottica di genere”, che con il nobile fine di prevenire le discriminazioni e la parità tra i sessi, hanno veicolato modelli sessuali, familiari e sociali spesso, senza una piena condivisione delle famiglie e imposti dalle scuole.
Il concetto di “parità tra i sessi” che andrebbe inteso come parità di dignità, di diritti e di opportunità, attraverso proposte ispirate al femminismo radicale o ad alcune realtà espressioni di parte della galassia LGBT, si è spesso reso strumentale all’introduzione dell’indifferentismo sessuale.
Gli stereotipi negativi, esemplificati dalla riduzione dell’uomo al maschio “macho” e violento e della donna alla femmina succube e sessualmente disponibile, devono essere certamente contrastati. Contemporaneamente, la loro “decostruzione” ha fatto da apripista alla denigrazione e alla indebita decostruzione degli archetipi fondanti la vita e le tradizioni familiari, la cui demolizione non ha nulla a che vedere con la doverosa prevenzione delle discriminazioni.
Molti progetti hanno proposto l’autodeterminazione nell’orientamento sessuale che, oltre a derivare da un’antropologia non universalmente condivisa, non è coerente con l’obiettivo di contrastare le discriminazioni; inoltre, nuoce all’armonia psicofisica umana, fine desiderabile dell’educazione.
La scuola può certamente favorire la formazione alla parità tra i sessi, ma non può agire sull’identità delle persone, contraddicendo l’intervento educativo familiare ed esperienziale.
Anche sul piano della educazione sessuale tout-court non sono mancate le segnalazioni di progetti che, seppur con il benestare di enti pubblici, come regioni ASL o consultori, hanno proposto percorsi non opportunamente condivisi dalle scuole con le famiglie né da esse apprezzati e spesso non condivisi opportunamente neanche con i docenti stessi.
Queste iniziative sono risultate discutibili per i seguenti motivi:
- a) la mancanza di verifiche circa la qualificazione dei formatori;
- b) la congruenza tra le finalità dichiarate e i contenuti trattati nei corsi. In molti casi, infatti, attraverso i corsi di educazione sessuale, è stata introdotta una prospettiva antropologica particolare, derivata dalla “Gender theory”;
- c) l’inadempienza di molte scuole, che non si sono attenute all’obbligo esistente in capo ad ogni dirigente di raccogliere previamente il modulo di consenso informato per l’espletamento dei corsi (NOTA 432 del 06 – 07 – 2015).
I genitori chiedono che siano coinvolte tutte le associazioni genitori, senza privilegi o discriminazioni, nella collaborazione con le scuole alle attività di educazione affettiva e sessuale.
Al contrario abbiamo assistito alla nascita della Strategia Nazionale UNAR sui temi della non discriminazione in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere, che riservava la collaborazione alle sole associazioni LGBT, prevedendo:
– avvio di accordi di collaborazione in materia di formazione a livello locale, tra Uffici Scolastici Regionali e Provinciali, Enti Locali, associazioni LGBT, associazioni di categoria e studentesche;
– valorizzazione dell’expertise delle associazioni LGBT.
Questo purtroppo conferma che ci troviamo di fronte ad una situazione grave: oggi è a rischio il fondamentale patto educativo tra scuola e famiglia e occorre quindi lavorare affinché venga ricostruita l’ineludibile alleanza tra scuola e famiglia, anche di fronte al rischio di introduzione di pericolose mode culturali ed assunti ideologici.
CONSIDERAZIONI FINALI
Tutto ciò suggerisce la scelta di non introdurre in forme obbligatorie contenuti educativi su questi temi sensibili e controversi per le famiglie, tramite insegnamenti “di Stato”, bensì quella di definire i criteri di accreditamento delle associazioni di esperti, alle quali le scuole, nell’ambito della loro autonomia, possano fare ricorso qualora, nella realizzazione del loro progetto educativo definito con il coinvolgimento dei genitori, in attuazione della corresponsabilità educativa, intendano affrontare le tematiche relative all’educazione dell’affettività e della sessualità.
Come genitori ed educatori riconosciamo e viviamo in prima linea l’emergenza educativa, da tutti denunciata, anche in riferimento alla sfera affettiva e sessuale, quale ambito di intervento per educare al rispetto tra i sessi, alla valorizzazione della complementarietà tra maschi e femmine e alla condanna di ogni ingiusta discriminazione.
Ribadiamo però, con particolare riferimento alle tematiche riguardanti la sfera personale e intima del discente, il primato educativo dei genitori e il doveroso rispetto della pluralità delle posizioni educative, pedagogiche, filosofiche e religiose della famiglia.
Diversamente verrebbero ingiustamente discriminate, proprio da una disposizione mirante al contrasto delle ingiuste discriminazioni, tutte quelle famiglie lecitamente portatrici di visioni antropologiche e filosofiche differenti dall’unica che verrebbe imposta da un intervento legislativo/educativo dello Stato, il quale di fatto impedirebbe l’“esercizio libero, democratico e civile dei diritti dei genitori”, nel rispetto dello sviluppo e della personalità del proprio figlio, garantito dall’art. 30, comma 2, della Costituzione italiana.
Solo facendo sì che i percorsi di educazione su questi temi siano piste che le scuole possano scegliere in base alla propria autonomia, avremmo garanzia della libertà di educazione.
La scuola non può essere identificata con i soli docenti, ma come “comunità di tutte le componenti: docenti, genitori e studenti, che decidono negli organi collegiali“, i quali non possono decidere programmi contro il parere dei genitori, in quanto contraddirebbero l’art. 30 della Costituzione e quanto sancito dalla legge 107/2015 e dal Regolamento dell’autonomia, in cui si ribadisce che nelle decisioni “si debba tener conto delle esigenze e delle richieste delle famiglie”.
Si chiede, dunque, in linea con tutta la normativa in merito, in particolare con la legge 59/97, art. 21, comma 9, recentemente richiamata tramite le circolari ministeriali del 6/7/2015 e 15/9/2015, che queste tematiche non siano fatte oggetto di insegnamento obbligatorio, ma che sia assicurato un rigoroso controllo dei requisiti scientifici e professionali di tali progetti.
Sia garantito ai genitori di decidere insieme alla scuola l’adesione a particolari progetti e ai singoli genitori di decidere o meno – in ordine al diritto-dovere di istruire il proprio figlio, come sancito dall’articolo 30 della Costituzione – di far partecipare il proprio figlio ad attività extracurriculari e, in caso di dissenso, di poter accedere ad attività alternative.
Per concludere:
1) Il sesso, la sessualità e l’affettività sono una dimensione della persona umana molto profonda e intima, che ha legami e connessioni con tutti gli aspetti della personalità e con l’assetto valoriale e il contesto etico nel quale sono necessariamente inscritti i comportamenti sessuali. Per un sano sviluppo del bambino/ragazzo è importante che vengano rispettati primariamente valori e assunti etici del contesto sociale di provenienza e di maggiore importanza per il bambino/ragazzo stesso: la sua famiglia;
2) Metodologie e linguaggio usati per veicolare i contenuti dell’educazione sessuale dovrebbero essere quanto più adeguati alle caratteristiche e possibilità dell’individuo al quale si vuol parlare. Questo presuppone una capacità di osservazione e di conoscenza del singolo bambino/ragazzo molto elevata che necessita il punto di osservazione privilegiato dei genitori, mentre qualsiasi discorso affrontato in gruppo deve necessariamente essere presentato in maniera omogenea per tutti e quindi non può prendere in considerazione le singolarità;
3) L’educazione è un atto naturale e fondamentale attraverso il quale l’uomo comunica se stesso e accompagna i suoi figli nell’avventura della conoscenza e nel cammino della vita. Perciò l’educazione è anche un atto generativo che presuppone l’esercizio di una responsabilità e la libertà di educazione è un valore fondamentale e non negoziabile, perché è costitutiva della natura umana. I genitori sono naturalmente abilitati ad essere educatori dei loro figli, in quanto portatori di esperienze particolari e uniche, e della loro educazione sono i primi responsabili.
Ci domandiamo quindi: può una legge imporre contenuti educativi derivanti da una visione di parte delle questioni antropologiche, che soggiacciono alle problematiche che giustamente intende affrontare?
Per noi la risposta è no, anche perché la garanzia fondamentale del consenso informato preventivo (richiamato dalla circolare ministeriale n. 4321 del 06/07/2015) tutelerebbe solo le famiglie capaci di difendersi. E alle altre chi penserebbe?
Chiediamo, ai sensi di quanto prescritto dalla legge, che siano promossi interventi educativi che potranno essere ispirati a molteplici impostazioni filosofiche e antropologiche e che la legge specifichi i criteri di accreditamento dei formatori e dei contenuti proposti dai corsi, garantendo pari opportunità e pluralismo culturale, nel rispetto della facoltà di scelta delle famiglie.
Sarà la singola scuola – nell’ambito della propria autonomia e in accordo con il Consiglio d’Istituto e quindi con i genitori in esso rappresentati – a scegliere di avvalersi di quello che riterrà più consono al proprio progetto educativo, ben esplicitato nel PTOF, che per la nuova legge 107/2015 deve essere redatto tenendo conto “delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori”.
Questo indirizzo permetterà di disegnare un intervento legislativo che sia al contempo efficace nell’affrontare una emergenza educativa e rispettoso dei diritti fondamentali della persona e delle formazioni sociali, dei cittadini e della democrazia.