Ci troviamo distanti ma pur sempre vicini con il professor Cantelmi psichiatra e psicoterapeuta, docente di Cyberpsicologia, che ringraziamo per il tempo prezioso a noi dedicato. Articolo 26 gli ha posto alcune domande.
Entriamo subito nel cuore della questione. Abbiamo raccolto alcuni interrogativi dai nostri associati sui quali ci piacerebbe riflettere insieme a Lei.
Da un giorno all’altro ci siamo trovati in quarantena, una esperienza molto forte in termini di limitazione delle libertà individuali sia per i genitori che per i nonni e i figli. Il prolungamento e l’incertezza delle informazioni date non favoriscono prospettive immediate. Per la sua esperienza e professionalità, le chiediamo:
1. Qual è il panorama psicologico in questo contesto, quali meccanismi scattano e cosa implica per bambini e adolescenti sapere che neanche domani si va a scuola?
Quando a marzo fu annunciata la chiusura delle scuole, gli studenti esultarono. Ma la didattica a distanza sta mostrando tutti i suoi limiti. Troppo improvvisata, poco accessibile a chi ha gap tecnologici, poco coinvolgente, gravemente lesiva dei bisogni relazionali e sociali dei bambini e degli adolescenti, troppo affidata alla responsabilità dei ragazzi, troppo lontani e sfuocati gli adulti, troppo inceppato l’apprendimento, farsesche le verifiche. Insomma, se da un lato dobbiamo apprezzare la generosità degli insegnanti, dall’altro dobbiamo dire che il Ministro ha utilizzato la didattica a distanza per coprire l’incredibile rigidità della scuola: riaprire è urgente, con modalità flessibili e innovative, anche integrando una quota di didattica a distanza con modalità organizzative efficaci ed efficienti. Sono otto milioni e mezzo i nostri figli e non possono essere ignorati. L’educazione e la formazione dei figli è l’“azienda” sulla quale uno stato dovrebbe investire risorse ingenti. Ecco, questa esperienza tragica dice che dobbiamo investire risorse.
Grazie professore, anche per Articolo 26 è una questione fondamentale che il finanziamento scolastico non sia più visto come una spesa ma come un investimento per il nostro futuro. Abbiamo inoltre appreso, da pochi giorni, che le scuole riapriranno a settembre: un duro colpo per le famiglie italiane. Nel frattempo, ci stiamo avviando a quella che viene chiamata “fase2” e, quindi, le chiediamo:
2. Per tutelare la salute dei nostri cari più a rischio come i nonni, in particolare, ma non solo, stiamo insegnando ai nostri piccoli che l’altro può farci ammalare con un bacio o un abbraccio e, anzi, che loro stessi possono far ammalare i propri cari. Qual è la portata psicologica di questo messaggio che stiamo veicolando? Ci può consigliare delle possibili strategie e come dovremo comportarci a fine emergenza?
Abbiamo trasformato i nostri figli in hikikomori: si alzano, si collegano alla piattaforma della scuola la mattina, il pomeriggio giocano alla play station e la notte fanno overdose di serie su Netflix e Amazon Prime. La domanda vera è: riusciremo a tirarli fuori? Io sono convinto di sì – perché il bisogno di relazione è irriducibile – ma possiamo uscire fuori dalle macerie emotive da COVID-!9 solo ricostruendo relazioni, anche parziali e con piccoli distanziamenti sociali o qualche mascherina.
Lei ha nominato il tema degli hikikomori, che abbiamo approfondito al nostro ultimo convegno nazionale dove anche lei è stato nostro gradito ospite. Si tratta di ragazzi che soffrono di un disagio sociale e incanalano le loro relazioni nel mondo multimediale. Ma possiamo quindi affermare insieme a lei che, in assenza di particolari problematiche, l’importante sarà affrontare ciò ci aspetta con entusiasmo e a testa alta, senza farci spaventare da qualche metro di distanza e qualche mascherina.
Come genitori siamo passati dal rimproverare i figli affinché si staccassero dai cellulari, al dover soprassedere e ad essere addirittura noi stessi fruitori più assidui, anche per motivi di smart working, per esempio.
3. Quale lettura possiamo dare a questa situazione e cosa ci consiglia?
Il COVID-19 è un killer postmoderno: ha generato un incremento del livello di tecno-mediazione della relazione, dell’autismo tecnologico e dell’individualismo. Ci vorranno forse due o tre anni per uscire fuori dal trauma del contagio e rientrare dall’euforia dei tecnofili. Nessuno vuole rinunciare alla bellezza della tecnologia, alla sua infinita utilità, ma dobbiamo sviluppare modalità di convivenza ed integrazione della tecno-mediazione che non umiliano l’umano. La tecnologia digitale stimola il cervello più antico, quello connesso al sistema limbico, alle emozioni e alla rapidità della risposta. Ma la nostra caratteristica è quella di aver sviluppato i lobi frontali, che ci differenziano da ogni altra specie vivente: sono il luogo della razionalità, della riflessione, della motivazione ad agire, del senso e del significato. La rivoluzione digitale deve essere integrata dalla capacità riflessiva, dal pensiero simbolico, dalla ricerca di senso e significato. Tocca a noi adulti riprendere per mano i nostri figli, schiacciati da una stimolazione percettiva e digitale imponente. Ecco perché la didattica a distanza non può e non deve sopprimere l’incredibile ricchezza di un rapporto con adulti significativi, gli insegnanti e gli educatori.
Fine della prima parte dell’intervista: la seconda parte a seguire nei prossimi giorni
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