Uno dei termini più in voga oggi è “decostruire”: la mannaia della decostruzione viene fatta cadere su molti concetti portanti della nostra civiltà e sembra essere stata individuata come la soluzione privilegiata per affrontare sfide importanti come la violenza nei confronti delle donne.
Decostruire gli stereotipi, in particolare, talvolta appare l’unica via, anche nella scuola, per affrontare problematiche così sfidanti: sembra esserci una fiducia cieca in un metodo che, all’atto pratico, non è affatto chiaro che risultati porti, se non quello di demolire alle fondamenta anche gli archetipi, cioè quei principi che l’uomo ha ricevuto come “modelli eterni e trascendenti”, stando a quanto afferma lo psicoterapeuta Claudio Risè in questo interessante articolo di cui consigliamo la lettura.
E così, sull’onda di queste iniziative alquanto discutibili, è allo studio l’apertura di un asilo gender-free in quel di Torino. Il modello di riferimento da cui prendere spunto sembra essere quello di Egalia, il pubblicizzatissimo asilo svedese, dove non si usano più i pronomi maschili e femminili, cui viene preferito il “neutro” hen, per non correre il rischio di stereotipizzare il genere dei bimbi fin da piccoli. Alcuni italiani quindi intendono prendere a modello la Svezia, nazione all’avanguardia nelle trattazione delle tematiche di genere.
Segnaliamo allora a chi non lo avesse notato che proprio in Svezia si registra un incremento di bambini “sessualmente incerti” che si rivolgono alle strutture specializzate alla ricerca di un’assistenza medica: come stupirsi di questi dati se l’obiettivo dichiarato di tali interventi, che vanno a toccare le identità in formazione dei più piccoli, è consapevolmente mirato a “dare libertà” e togliere certezze sul genere?
Non educhiamo più i bimbi, imponiamo ideologie
di Claudio Risé, da “La Verità”, 15 aprile 2018Quale è l’obiettivo dell’educazione? Aiutare il bambino a stare bene, ad esprimere se stesso incontrando gli altri, o affermare le idee e convinzioni di chi fa i programmi, degli educatori? Come sta accadendo per esempio nel progetto di un asilo nido per i figli dei dipendenti dell’Università di Torino di cui si è parlato nei giorni scorsi, gestito dagli studenti di scienze della formazione con il programma di “decostruire gli stereotipi”. Cosa è dunque necessario a un bambino piccolo? Venire consolato con affetto per il suo non poter stare con la mamma, che molto spesso vorrebbe soprattutto rimanere con lui (e lui lo sente dall’inconscio), o insegnargli a “decostruire gli stereotipi”? E, nel caso, quali sarebbero questi stereotipi? Domande non da poco, che tuttavia bisogna porsi, anche perché non riguardano solo l’asilo detto “gender free” di Torino. Riguardano i giovani di domani, tema pressante visto il loro malessere già oggi, documentato da tutti dati che li riguardano, dalla disoccupazione alla fatica a concludere gli studi, uscire di casa, programmare la propria vita, e da tutti gli altri evidenziatori di insoddisfazione, fragilità, sterilità.
Già la freddezza con cui in una fase della vita come quella dell’asilo, dominata da un bisogno primario come appunto quello per la madre, si piazza un tema “culturale” come quello dello stereotipo, mostra come il progetto sia ispirato da preoccupazioni assai più ideologiche che psicologiche. Altrimenti si saprebbe che in quella fase non si può andare molto al di là della lettera A: accoglienza, attenzione, amore. Ma, appunto, da quelle parti rimarremmo dalle parti del dono: quello di sé al bambino. Una posizione di umiltà, e anche di sacrificio, pur se compiuto con gioia. Quando si parla di censura e lotta agli stereotipi (che sono sempre quelli degli altri, mai i propri), siamo invece già sul piano dell’affermazione di noi stessi e delle nostre ideologie, della smania di affermarci e magari prepararci la carriera. Zone dove il nostro interesse viene messo prima di quello del bambino. Così al dono verso l’altro viene sostituita l’attenzione alle proprie posizioni ideologiche, per solito verniciate da neutralità di genere e accoglienza universale.
Su questa questione degli stereotipi di genere però, è meglio fare chiarezza. Non pensiamo che gli studenti di “Scienze della formazione”, stiano a perdere tempo con le antiche questioni del rosa femminile e azzurro maschile. Perché su quello ci sono già innumerevoli test e rilevazioni neurali e percettive: le femmine amano il rosa e i maschi l’azzurro da subito, prima di aver avuto accesso a qualsiasi stereotipo o indottrinamento. Così come la lotta: sono i millenni e l’evoluzione, bellezza. Su questo nessuno ha indottrinato nessuno. E la sarta Elsa Schiapparelli, con il suo Rosa detto “Schiapparelli” è diventata miliardaria in un botto.
Allora forse è necessario che gli studenti di scienze della formazione studino invece la relazione tra due cose apparentemente diverse, ma nella realtà non così tanto: gli stereotipi e gli archetipi. I tipi di oggi e i quelli di sempre, che guarda caso sono straordinariamente simili. Gli stereotipi sono infatti la versione di massa e di consumo, attuali e costruiti, dei loro modelli eterni e trascendenti: gli archetipi. Immagini, queste, da sempre presenti nella storia dell’umanità, in tutte le regioni del mondo e in tutte le epoche, che danno ai vari momenti della vita umana forza e direzione, oltre a specifici contenuti affettivi e operativi. La bella seduttrice è lo stereotipo corrente dell’archetipo della dea Venere, e il “maschio Alfa” e spaccone è la versione di massa che sta tra Ercole e Ares-Marte. Gli archetipi non li ha proposti nessun persuasore occulto e malvagio: si sono presentati da soli nella storia dell’uomo, spesso segnati da una mano inconsapevole sulle pareti delle caverne: il fanciullo, il vecchio, la donna, l’uomo. Sono, certo, aspetti della realtà, ma soprattutto forze psichiche, che animano e muovono la vita delle persone.
Il maschile e il femminile sono costituiti da questi aspetti e da queste forze, tese alla continuazione della vita. A quale donna non interessa piacere all’uomo e a quale uomo non importa “fare colpo” in qualche modo sulla donna che gli piace? In tutti questi archetipi poi, o almeno in tutti quelli vitali, c’è un pizzico di uno di essi, antichissimo e fondamentale: Eros. Vale a dire la forza che spinge verso l’altro. Verso l’incontro, l’amore. Ma, ancora prima, verso un’immagine da cui vieni preso, completamente catturato dalla sua bellezza, mistero e diversità.
Cose d’altri tempi, romanticherie, intellettualismi? Nient’affatto: natura elementare. Gli uccelli, ma anche la maggior parte degli animali, fanno cose incredibili per conquistare l’altro/a: acrobazie difficilissime, lunghi percorsi, canti o lamenti toccanti e irresistibili. Se le scienze della formazione avessero l’umiltà di considerare la natura tra i propri maestri (come faceva ad esempio lo scienziato Leonardo da Vinci) lo saprebbero. E’ comunque certo che se togliete agli esseri umani (e a tutto il vivente) questo corredo istintuale e passionale (ed anche culturale), la vita si spegne. Senza la profondissima, evidente e molto amata diversità tra i due l’umanità sprofonda nella depressione, come infatti oggi accade. Non siamo affatto uguali, e il costringerci ad esserlo (quella sì) è un’insopportabile violenza.
E’ questo il dono perverso che fa all’umanità la richiesta di “destrutturare” (far fuori) i generi e i loro stereotipi, pur ufficialmente ispirato da simpatia e solidarietà verso le donne. Però poi sono soprattutto le donne, colpite dalla depressione postmoderna una volta e mezzo più degli uomini, le vittime del dono sadico della decostruzione dei generi. Era per loro che batteva il cuore maschile colpito dalla freccia di Eros. Ed era nell’amore e solidarietà verso la donna madre, con il suo prezioso e vitale dono del figlio, che si svolgeva gran parte della vita dell’uomo, quella più significativa e costruttiva.
Tutto questo movimento vitale è mosso da un fenomeno che disturba i teorici della decostruzione, ossessionati dall’eguaglianza e insospettiti dalle differenze. Si tratta dell’attrazione tra gli opposti, luogo della nascita di ogni energia, a partire dal primo di essi: femminile e maschile. Come raccontano storia dell’arte, filosofia e elettrofisica sono gli opposti, le differenze, e il loro incontro che fanno scoccare la scintilla, generando energia e vita. L’amore nasce dal valorizzare le differenze, non dal cancellarle, passione di ogni autoritarismo crudele. L’asilo, che accoglie un essere che è ancora bisogno, nostalgia, gioco, sonno, sogno, richiede apertura alla differenza dell’altro. E’ il bimbo l'”altro”, il diverso da accogliere, con tutte le differenze di cui è portatore. Cominciando da quella, non manipolabile con intellettualismi furbi, tra maschile e femminile. Da quella differenza è cominciata la sua vita.
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