Un recente convegno organizzato da “Articolo 26” alla Camera dei Deputati ha fatto il punto sul pluralismo educativo e la parità scolastica in Italia
In tutta Europa vigono sistemi scolastici in virtù dei quali le famiglie hanno la possibilità di scegliere fra scuole statali e non statali di vario tipo, senza alcuna penalizzazione economica. Di fronte alle evidenti carenze della scuola italiana dopo 19 anni dalle legge 62/2000 che ha sancito la compresenza nell’unico sistema nazionale di istruzione di scuola statali e paritarie, una riforma strutturale per attuare in Italia un sistema basato sul pluralismo formativo non è più rimandabile.
Da questo assunto è nato il convegno “#Scuola Libera. Diritto all’educazione e qualità della scuola tra Italia e Europa” promosso da Articolo 26, e svoltosi il 10 aprile scorso a Roma alla Camera dei deputati, che si è proposto con il contributo dei alcuni tra maggiori esperti italiani sul tema – Dario Antiseri, Anna Monia Alfieri, Luisa Ribolzi e Francesco Magni – di fare il punto e rilanciare proposte efficaci, portando anche la voce dei genitori italiani.
Una necessità dimostrata anche dai dati forniti da Magni, innanzitutto perché il nostro sistema d’istruzione e formazione, basato sul paradigma centralistico e uniforme, a fronte di un costo molto altro (circa 45 miliardi di euro all’anno), risulta gravemente inefficace e inefficiente, con una percentuale record di dropout tra i 18-24 anni pari al 14,5%; 2,2 milioni di Neet tra i 15 e i 29 anni e la percentuale più bassa in Europa (26,9%, peggio di noi solo la Romania) di persone tra i 30-34 anni che sono in possesso di una laurea o di un diploma terziario di istruzione. La sola scuola statale, inoltre, non riesce a produrre quella mobilità sociale indispensabile per rimettere in marcia il paese.
Il pluralismo educativo conviene sotto diversi punti di vista: filosofico, pedagogico, giuridico, economico e rappresenta l’unico paradigma adeguato per affrontare le sfide mondiali a cui dobbiamo far fronte. Come testimoniano casi internazionali (dall’Olanda allo stato dell’Alberta in Canada, fino alla Nuova Zelanda), il pluralismo educativo conviene a tutti; in particolare agli studenti più poveri, destinati a vedersi negato questo loro diritto, mentre i ricchi potranno sempre pagarsi l’istruzione migliore o più adatta alle loro esigenze.
Gli strumenti con cui si cerca di attuare questo principio sono molteplici e talvolta complementari. Il problema della scuola italiana non dovrebbe essere uniformare, ma valorizzare ciò che contraddistingue le diversità del nostro paese: solo così la scuola è vera occasione di rilancio a garanzia di maggiore libertà ed efficienza.
L’intervento di Ribolzi ha chiarito che la vulgata secondo cui erogare fondi alla scuola paritaria significa toglierli a quella statale, è un falso. Oggi a fronte di pochi ed opachi dati forniti dal Miur è necessario un serio e scientifico lavoro sui costi e sulla spesa per l’istruzione e una rinnovata azione culturale e politica per diffondere la consapevolezza che un valido sistema non statale rappresenta una risorsa economica e non un costo.
Per Antiseri, contro la libertà scolastica e le scuole paritarie vi sono da decenni nel nostro paese solo obiezioni ideologiche. Eliminare i corpi intermedi (la libertà dei genitori di creare scuole) significherebbe avere lo Stato come unico maestro e giudice contro ogni ipotesi di democrazia e pluralismo. La concorrenza in un sistema pluralista tra scuola a conduzione statale e non statale per Antiseri è la più alta ed efficace forma di collaborazione e quindi motore di progresso umano e culturale. E non è questione confessionale, come si pensa spesso legata al fine di dare soldi alle “scuole dei preti”: grandi pensatori anche anticlericali, tra cui Russell, Gramsci, Salvemini hanno teorizzato la necessità della libertà educativa, diritto ribadito nell’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nella Carta dei diritti dell’Unione europee e nella Costituzione italiana.
Uno degli strumenti che può superare l’attuale stallo italiano è quello del “costo standard di sostenibilità per allievo” ampiamente analizzato dalla Alfieri, utilizzato in molti paesi e già allo studio del Miur, inteso come “dote spettante ad ogni persona per il diritto all’educazione”. Ogni famiglia potrebbe assegnare “il costo standard già definito dal ministero” alla scuola prescelta e ritenuta più rispondente alle proprie libere convinzioni ed esigenze, ottenendo anche un risparmio certificato per la spesa pubblica.
Insomma, libertà educativa e valorizzazione del nostro patrimonio culturale sono beni per tutta la società civile e non opzioni di parte. Un sistema pluralista gioverebbe non solo a genitori ed alunni ma anche a tutti i docenti, sia a quelli delle scuole paritarie – oggi a tutti gli effetti docenti “di serie B” – che a quelli statali, schiacciati da una scuola paralizzata dalla burocrazia e massificante. Nei prossimi mesi saranno messe in campo una serie di iniziative nella società civile per riportare il tema della scuola libera al centro dell’agenda politica e mostrare l’urgenza di realizzare al più presto una riforma strutturale del sistema scolastico.